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“Siamo scarsissimi ma super pro”. Viaggio nell’A.S. Velasca, la squadra che ha sposato l’arte

“Noi non siamo contro il calcio moderno! Siamo diversi”. E’ questo il primo principio su cui si fonda l’A.S. Velasca, una squadra di calcio milanese militante in dodicesima categoria. Si tratta di un club che affonda le sue radici nel connubio arte-pallone e che abbiamo esplorato con l’aiuto del suo presidente Wolfgang Natlacen. Ci ha ospitato, in una soleggiata mattina di luglio, nella sua casa-laboratorio nel quartiere Isola. Lì, tra progetti, bozzetti, serigrafie e sculture, ci ha accompagnati alla scoperta di questa realtà.

“Abbiamo pensato che il calcio è una forma d’arte; volevamo un club come un’opera, senza limitare la creatività al campo. Per il resto la nostra squadra vive delle stesse dinamiche di qualunque altra”.


Se vi dicessimo che non sono stati i primi?

In questa casa circondata dal verde, l’argomento più a fuoco è senza dubbio quello della natura del progetto. E’ giusto sottolineare che l’idea di questo connubio era già venuta ad artisti illustri: in Italia ci pensò Pier Paolo Pasolini; in territorio britannico, niente di meno che i Pink Floyd, (per chi non lo sapesse Fearless è dedicata al Liverpool) che fondarono la Pink Floyd FC. Nessuno dei due progetti però venne mantenuto in vita.


Perché la Torre Velasca come simbolo?

“Questa torre è stata costruita nel Dopoguerra ed è la riproduzione stilizzata della Torre Filarete. Riprende un simbolo vecchio, rinnovandolo. Spicca ed è riconoscibile. Milan e Inter sono legate più al passato. Un nuovo club doveva avere un’identità visiva moderna”.


Se vi dicessimo che si finanzia tramite i suoi artisti?

La Velasca non ha smesso di crescere da quando è nata, tre anni fa. Le sue risorse le trova nella vendita delle maglie che i giocatori indossano durante il campionato, ma prima di tutto tra i suoi artisti. Il primo è stato il francese Régis Sénèque: il club era appena stato fondato e fu lui ad interpretare il concetto delle “fondamenta”, realizzando un’opera (che divenne l’immagine delle maglie) che partiva da un mattone forato. Nada Pivetta, scultrice milanese (una delle sue opere fa parte della collezione di sterline di Fabio Capello), ha ideato e creato per la Velasca, una moneta con un biscione inciso, in dote all’arbitro durante le partite. L’artista Zevs, elemento di spicco del panorama pubblicitario francese, è stato main artist del club l’anno scorso. Lavorando sui loghi colati, nello specifico sovrapponendo quelli dei due brand che hanno il monopolio del marketing nel calcio mondiale, ha ricavato un’opera che è divenuta l’immagine della Velasca. Quest’anno l’elaborazione creativa è stata affidata a Jiang Li, assistente (nonchè nipote) dell’artista dissidente cinese Ai-Weiwei. Anche lui avrà l’incarico di trasformare la maglia in un’opera d’arte.

Perché i giocatori della Velasca non possono indossare la fascia a lutto?

Tasto dolente. Per “motivi religiosi” non possiamo riprodurre la dicitura ricamata sulle fasce a lutto della squadra, ragione per la quale poi non possono indossarle i giocatori. Vi basterà sapere che la scelta è stata basata su un principio di laicità e derivata da un soggetto bibliografico di John Fante. Il significato più profondo? Ce lo spiega Wolfgang: “La nostra fascia, non essendo indossabile, in un certo senso scongiura la morte e quello che c’è di peggio”.


E cosa dire di sciarpe, libretti pre-partita, inno e numeratore?

Le sciarpe sono opere che cambiano ogni anno; d’effetto quella futurista che aveva ricamato il celebre Zang Tumb Tumb di Marinetti. I libricini che vengono distribuiti ai tifosi prima della partita sono composti da autori cui viene riservato uno spazio per scrivere impressioni di vario genere, in italiano o in altre lingue. L’inno, che accompagnerà da quest’anno la squadra, è stato scritto da Andrea Cernotto ed è già stato parte di un’installazione nella galleria parigina dove la Velasca ha esposto lo scorso anno. E infine il numeratore, realizzato dall’artista Patrizia Novello: particolarità? Non c’è niente di elettronico: è stato realizzato in legno, con numeri rossi da una parte e verdi dall’altra, per gestire gli ingressi e le uscite dal campo.

A proposito di campo, che caratteristiche occorrono per far parte della rosa?

A questa domanda ha risposto, sul campo della Triestina a Milano, dove la Velasca gioca in casa, il direttore sportivo Marco De Girolamo: “Innanzitutto non tesseriamo minorenni, hanno tutti dai 19 anni in su. Chi vuole giocare si presenta (il reclutamento avviene spesso via web), fa un provino e se viene inserito in rosa, si adegua alle regole che qui vanno rispettate senza deroghe. Il nostro giocatore tipo non deve avere particolari doti tecniche (siamo scarsissimi!!!) ma dev’essere umile e stakanovista. Ci sono due allenamenti serali a settimana e la partita la Domenica. E’ impegnativo e il rigore che chiediamo è assoluto. Da quando abbiamo iniziato, c’è stata una selezione naturale: chi non ha capito il senso di questo progetto, non è più con noi. Altri invece hanno compreso a fondo ciò che vogliamo proporre e rinnovano l’impegno dalla prima stagione. In particolare tre di questi l’anno scorso sono andati fino a Parigi, ad una delle mostre che allestiamo a fine stagione. Matteo Cammarata, che purtroppo quest’anno non giocherà con noi per motivi personali, Agostino Zicca, che avrà la fascia da capitano per il 2017/18 e Moustapha Hegab, primo marcatore della squadra. Per tutti è un secondo lavoro, ma l’approccio dev’essere professionale. Quando si inserisce anche il trasporto verso il progetto, allora siamo completamente soddisfatti. Manca solo la realizzazione del proposito tecnico: fare più gol di quanti ne prendiamo. Ma questo sarà il compito di Lucio Zicca, che sarà in panchina l’anno prossimo”.

A concludere questa lunga intervista tra aspetto tecnico e artistico, spetta al Presidente, che ci congeda così: “Nonostante le etichette che spesso ci affibbiano, tengo a dire che noi non siamo contro il calcio moderno. Viviamo di comunicazione e sopravviviamo vendendo i multipli delle maglie da gara in edizione limitata, quindi siamo pro modernità. Però giochiamo un calcio diverso, un calcio che è più crudele di quello a grandi livelli. Un calcio in cui se ti fanno break, è difficile fare controbreak”.