“Quando sbagliava un gol veniva a chiedermi scusa. E se non segnava smetteva di parlare!”: viaggio alle origini di Inglese
Esistono attaccanti e attaccanti. Alcuni più appariscenti, li noti subito al di là delle prestazioni. Altri invece passano magari più inosservati ma fanno sempre il loro. Sempre. Eccome se lo fanno. Come quel Roberto Inglese del Chievo, uno che di questa categoria fa indiscutibilmente parte. Partito a razzo in questa stagione con 5 gol in 10 partite e fresco di doppietta nel derby col Verona, Inglese. Con un futuro già scritto alla corte di Sarri. Nato per fare gol fin dai tempi della PGS Vigor Don Bosco, società dilettantistica – il cui nome è l’anagramma di PSG ma con storia, finanze e soprattutto finalità molto diverse rispetto alla squadra francese – di Vasto dove il classe ’91 del Chievo ha mosso i primi passi. “I bambini della nostra scuola calcio stravedono per Roberto. Ogni volta che torna a Vasto organizziamo una festicciola con tutti i piccoli e le loro famiglie dove ovviamente anche Roberto è presente. Gli chiedono foto e magliette ed è sempre molto disponibile. È il nostro orgoglio”, racconta emozionato in esclusiva per GianlucaDiMarzio.com Michele La Verghetta, attuale responsabile del settore giovanile della PGS nonché primo allenatore in assoluto di Inglese.
“Ho tanti ricordi di Roberto da bambino. Lo vedevo giocare spesso al campetto. Poi veniva a seguire i nostri allenamenti ma stando sempre fuori. Così un giorno lo invitai ad entrare in campo e non ci pensò due volte. In quel momento è iniziato tutto. È stato con noi dal 2001 al 2004. In seguito purtroppo non avendo la squadra dei Giovanissimi lo portai alla Virtus Vasto”. Ricordi nitidissimi, i suoi. Nonostante l’età (nato nel ’42, ndr) il sig. Michele dedica ancora oggi anima, corpo e finanze alla PGS col nobile intento di togliere i ragazzi dalla strada per fornire loro una casa dove crescere insieme. Fiore all’occhiello della società è un organigramma di tutto rispetto visto che gli allenatori del settore giovanile sono tutti ex giocatori professionisti dediti alla causa a titolo completamente gratuito. “Nella nostra scuola calcio vogliamo creare uomini prima che calciatori. Infatti anche Roberto, nonostante fosse bravissimo, quando andava male a scuola veniva messo in panchina. Lui si arrabbiava perché voleva giocare sempre!”. Per fortuna succedeva raramente visto che “a scuola era molto bravo. Quando era a casa studiava, veniva al campo e poi tornava a casa a studiare. Andavo a parlare coi professori di tutti i ragazzini che allenavo e per quanto riguarda Inglese solitamente mi sentivo dire ‘Roberto va bene!’. Ma quando mi dicevano ‘Roberto ha preso un brutto voto in matematica’ allora scattava la panchina”, afferma il sig. La Verghetta ridendo.
“È sempre stato un ragazzo serio ma soprattutto umile e semplice. Nonostante fosse abbastanza silenzioso non faceva fatica a legare con gli altri. Era il primo a presentarsi al campo d’allenamento e l’ultimo a lasciarlo. Si applicava con tutto se stesso e sapeva già calciare con entrambi i piedi, tanto che lo mandavamo a giocare coi più grandi. Si divincolava dagli avversari come se niente fosse e giocava sempre a testa alta. La sua abilità principale era saper giocare già allora anche senza il pallone. Si vedeva come fosse destinato ad arrivare in alto”. Un solo piccolo difetto: “Era un po’ lento nelle ripartenze. Gli facevo fare esercizi specifici ed è migliorato molto. Spesso mi fermavo al campo solamente con lui per allenarlo anche terminato il normale allenamento”.
Con una gran voglia di migliorarsi sempre più. “Pensate che quando sbagliava un gol a fine partita veniva a chiedermi scusa. ‘Stai tranquillo Roberto ma la prossima volta quella palla si deve mettere dentro’, rispondevo io. Quando non segnava si arrabbiava e quasi non parlava. Si cambiava, si rivestiva zitto zitto e se ne andava. La mamma vedendolo imbronciato gli chiedeva ‘Che è successo Robè?’. ‘Non ho fatto gol!’”. La famiglia è sempre un riferimento per il piccolo Inglese: “Roberto viene da una famiglia operaia. L’hanno sempre seguito senza fargli mai mancare niente. Il papà, Antonio, faceva i turni, mentre la mamma, Rosalba, è casalinga. Era lei che, insieme alla zia, lo portava agli allenamenti”.
Dopo una marea di gol messi a segno tra PGS e Virtus Vasto, lo notò il Pescara: l’inizio vero e proprio della scalata di Inglese. “Io circa un anno e mezzo prima che andasse al Pescara l’avevo già portato da loro ma mi dissero di aspettare ancora almeno un anno per farlo crescere. Quando andò al Pescara mi disse ‘Mister, la Virtus mi ha venduto’. Ci rimasi male perché nessuno mi aveva avvisato”. Per il sig. La Verghetta infatti, Inglese è quasi come un figlio. Anzi, uno dei tanti figli visto come abbia cresciuto diverse generazioni di ragazzini passati dalla PGS. E per questo sia una persona stimatissima e benvoluta: uno di quelli che fanno bene al mondo del calcio. “Ancora oggi Roberto quando gioca mi telefona e quando torna chiede sempre di me. A volte andiamo anche a mangiarci una pizza insieme. Mi domanda se l’ho visto in tv e io gli rispondo ‘Quando ti vedo segni sempre’. Allora mi chiede di non perdermi nemmeno una partita”, conclude il sig. La Verghetta con l’ennesima risata prima di salutarci. Dalla voce si percepisce come ricordare il piccolo Roberto Inglese susciti in lui intense emozioni. Affetto reciproco, il loro. Sa bene quanto abbia significato per quell’attaccante più decisivo che appariscente con un futuro già scritto nel Napoli.
(Ph: Zonalocale)