Pesenti si racconta: “Caratterialmente come Balotelli! Che amicizia con Belotti, ‘Who’ il nostro tatuaggio…”
“Vorrei che un domani la gente ricordasse il Pesenti uomo e non il Pesenti calciatore”. Comincia con un monito: strano, ma estremamente chiaro. Voce decisa e abbastanza malinconica, di quelle che celano palesemente un ‘sarebbe potuto essere, ma non è stato’. Come mai? Classica domanda consequenziale, forse però la più appropriata. E Massimiliano Pesenti, attaccante del Pro Piacenza lo spiega senza problemi, “tanto io non ho peli sulla lingua. Mi riferisco al fatto che in campo sono una persona e fuori un’altra. Quando gioco mi trasformo, divento abbastanza aggressivo e polemico. Tant’è che mi chiamano Brontolo…”.
‘E’ forte Pesenti, ma è una testa calda’. Un marchio indelebile, fin da ragazzino. “E solo Dio sa quanto mi dava e mi da fastidio essere etichettato così. Quando gioco non so cosa mi scatta, ma il ragazzo d’oro è come se sparisse, divento un ‘animale’. Il perché me lo chiedo io, se lo chiedono i miei genitori, se lo chiedono tutti. Diciamo che caratterialmente sono come Balotelli, il classico paragone che mi facevano. E di ‘Pesentate’ ne ho fatte tante…”. Sincero e molto critico. Prosegue senza problemi nel suo ‘dialogo con se stesso’. Va beh dai, mettiamola così: Seneca avrebbe apprezzato questa introspezione interiore… “Almeno lui! Ma ora – racconta Pesenti ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com – è arrivato il momento di cambiare. Lo devo a me stesso, ai miei familiari e a tutta la gente che mi vuole bene. E’ la mia ultima spiaggia e non posso fallire”. E’ difficile cambiare se tessi, quasi impossibile. Ma una seconda possibilità in linea teorica è concessa a tutti. Homo faber fortunae suae…
Pesenti ci sta provando, con pazienza e determinazione. Quella stessa che lo ha contraddistinto dai tempi dell’Albinoleffe, quando segnava un gol dietro l’altro. “In Primavera ne feci 20. Mi volevano Milan, Inter, Juventus e si diceva anche l’Everton che era quello di Rooney. Poi è andata così per via del mio carattere, senz’altro e anche perché mi è stato impedito di spiccare il volo. Forse questa rabbia calcistica deriva proprio dalla frustrazione per non aver raccolto abbastanza”. Una sorta di limbo dantesco, nel quale Pesenti vagava alla ricerca di un barlume di luce che appariva e subito dopo si spengeva. Un’alternanza in moto perpetuo, alla quale si è poi aggiunta anche la sfortuna, “ho avuto mille infortuni, ricordo al Prato sono stato sempre a casa mia a Bergamo perché rientravo e mi rifacevo subito male”. Oltre all’indole inquieta anche il destino gli ha così voltato le spalle. Solo. Ma con una gran forza (e voglia) di rialzarsi perché spesso una cosa non finisce quando deve finire, finisce quando lo decidiamo noi. “Io voglio combattere. Come i 300 spartani di Leonida. E’ dura, ma lotto”. Speriamo l’epilogo sia diverso, senz’altro il fato ne apprezzerà l’audacia.
O magari lo sta già facendo? Sei gol in campionato e uno in Coppa con il ‘suo’ Pro Piacenza. “Dalla gara con il Renate nella quale ho preso tre giornate, è scattato qualcosa in me. Il giorno dopo mi sono messo davanti allo specchio e… ‘Peso ora basta fare cavolate, hai 29 anni!’. Probabilmente avrei dovuto capirlo prima, ma basta guardare al passato”. Che quello specchio ti sia di buon auspicio, Massimiliano. “Non voglio mai più sentire certi giudizi negativi della gente su di me. Non voglio più sentire ‘sei una testa calda’. E’ la cosa che mi interessa di più, smentire chi giustamente direi finora mi ha etichettato così”.
Nel magma turbolento del passato, però, c’è anche un ricordo bello, sincero. Che, finalmente, gli strappa un sorriso… “L’amicizia con Andrea Belotti, dai tempi dell’Albinoleffe! Ci sentiamo sempre e tra noi c’è un rapporto straordinario. E’ un grande Andrea e si merita ogni fortuna. Io gli auguro il meglio, con il cuore in mano…”. Perché il pensiero dolce di un amico è anche difficile da spiegare, senz’altro emoziona. “Nell’estate del 2014 ci siamo fatti due tatuaggi insieme. Sull’indice destro ‘Who’, la canzone di Tujamo, una sorta di rito scaramantico per noi visto che la ascoltiamo prima di ogni partita. E sull’indice sinistro lui ‘Peso’ ed io ‘Belo’, simboli di un’amicizia vera e autentica. Peraltro ai tempi dell’Albinoleffe, Andrea esultava con le dita alle orecchie che simboleggiavano le cuffiette proprio per questa cosa di ‘Who’. Poi andavamo insieme al bar Gallo e da lì la celebre cresta, perché aveva promesso al proprietario del bar che dopo ogni gol avrebbe esultato in quel modo”. Stessa storia, stesso posto, stesso bar… Ah, gli anni d’oro! Quelli del motorino sempre in due o dei Roy Rogers come jeans. “Entrambe, dai”.
Un viaggio nei ricordi accompagnato da una sana autocritica. Tutto rimane, niente – purtroppo o per fortuna – si può cancellare. La nostra impronta può sbiadirsi, ma non scomparire. Lo sa fin troppo bene Pesenti, lo ha sentito tante di quelle volte. Ora, però, da qualche settimana una voce timida e ancora un po’ impacciata gli ha suggerito una cosa (vera? Chissà): quella luce dantesca in fondo in fondo non è mai definitivamente preclusa a nessuno…