Napoli, cosa resta di tre anni di Sarri(smo)
Strana la vita. In
un momento sei eroe, un mese dopo sei già un ricordo. In 30 giorni
la vita di Maurizio Sarri è cambiata drasticamente. Il 22 aprile la
vittoria allo Stadium contro la Juventus che sembrava lanciare il suo
Napoli verso lo scudetto, il 22 maggio l’incontro De
Laurentiis-Ancelotti che ha di fatto chiuso la sua avventura azzurra.
Perchè, per far sì che i napoletani accettassero l’addio del loro
Maestro, bisognava per forza portare al San Paolo un allenatore di
spessore, uno dei più vincenti in attività.
SARRI ALLENATORE…
FILOSOFO!
Già, vincente.
L’aggettivo che segna lo spartiacque tra il Sarrismo puro e
convinto e le altre correnti di pensiero. Perchè il modo di allenare
di Maurizio Sarri è diventato negli anni una vera e propria
filosofia, un credo da seguire sempre e comunque. Esaltazione della
bellezza, perchè solo così si può migliorare e provare a vincere
qualcosa di grande. Bel gioco, schemi, possesso palla, squadra
corta, linea alta e una cura maniacale dei dettagli: solo alcuni dei
dogmi del toscano-napoletano.
Insieme al credo di
dover sempre e comunque ragionare e giocare su sé stessi, in fase di
possesso ma anche in difesa. Perchè, in un certo qual modo, anche i
movimenti della sua linea a quattro possono essere considerati uno
spettacolo. Giocatori che si muovono come se fossero legati tra di
loro, movimenti provati e riprovati tanto da “sognarli anche di
notte” (parola di Raul Albiol, uno che ha giocato nel Real Madrid e
che ha vinto anche i Mondiali con la Spagna).
Dettami
che l’allenatore ha cercato di inculcare sin dal primo istante, tra
lo scetticismo generale dei primi giorni a Dimaro. Anche qui un mese
per cambiare la vita: dalla sconfitta al Sassuolo all’esordio al
doppio 5-0 contro Club Brugge e Lazio al San Paolo, prime notti
stellari del Napoli di Sarri. Dai dubbi al sogno in poco tempo,
azzurri campioni d’inverno con un gioco che incanta e che esalta
anche le doti realizzative di Gonzalo Higuain (36 gol e record a fine
anno). Tutto così, “un giorno all’improvviso”, come recitava il
tormentone di quella stagione al San Paolo.
Il
primo anno è stato quello della sorpresa: Napoli bello e forte, come
pochi si aspettavano, ma beffato da quel gol di Zaza allo Stadium e
dal ritorno prepotente della Juventus. Il secondo anno è stato
quello della conferma, nonostante una partenza a handicap per l’addio
di Higuain e per l’infortunio di Milik. L’intuizione Mertens
centravanti ha riportato il Napoli a livelli altissimi, che però non
sono bastati per andare oltre il terzo posto nonostante un girone di
ritorno da capolista. Ma è stato anche l’anno del confronto contro
il Real Madrid e di una squadra che ha incuriosito il mondo. Il terzo
anno è stato quello del “patto per lo scudetto”, di una squadra
che voleva raccogliere quanto seminato nelle stagioni precedenti. Il
Napoli ci è andato vicino, ma non sono bastati i 91 punti per
battere la Juventus.
SARRI
PERSONAGGIO
Non
solo campo. Maurizio Sarri è arrivato a Napoli portando tutto della
sua personalità, fissazioni e stranezze comprese. Anti-sistema per
eccellenza, contrario a ogni tipo di convenzione radicatasi nel
calcio moderno: dall’obbligo di presentarsi nei grandi palcoscenici
in camicia e giacca al modo di parlare in pubblico. Perchè, che sia
Serie C o Champions League, lui è sempre e comunque Maurizio Sarri.
Coerenza, anche al Bernabeu: al cospetto di Zinedine Zidane e dei
blancos in tuta e con il ‘mozzicone’ di sigaretta in bocca. A
esprimere il suo calcio e la sua personalità, indipendentemente dal
contesto e dagli avversari. Sempre sincero, coerente con le sue idee
e con il suo modo di pensare.
Forse
proprio per questo tra i napoletani e Sarri c’è un amore così
genuino, uno di quelli nati dal nulla quando meno te l’aspetti.
Quegli incontri causati dal destino, tra due soggetti all’apparenza
diversi ma fondamentalmente simili. Napoli, nel 2015, passò dal
plurititolato Benitez all’ex bancario Maurizio Sarri: già questo
basta per comprendere la differenza. Ma il tifoso azzurro vive per il
calcio e Sarri vive di calcio: c’è una preposizione a dividere,
davvero nulla in confronto alla passione che li lega.
SARRI
UOMO
C’è
un Sarri allenatore, un Sarri personaggio e, infine, c’è un Sarri
uomo. Quello che mai e poi mai avrebbe lasciato il Napoli, squadra di
cui è tifoso fin da bambino. Ma che probabilmente è giunto in un
momento in cui ha bisogno di nuovi stimoli, dopo aver forse dato il
massimo nel suo triennio azzurro. La separazione? Una scelta per sé
stessi, perchè un eventuale passo indietro avrebbe forse posto un
macchia sullo straordinario lavoro fatto in questi tre anni. E una
scelta per il Napoli, che probabilmente ha bisogno di un allenatore
con altri stimoli per il definitivo salto di qualità.
C’è
il sogno. Poi ci sono il calcio e la vita, che per certi aspetti sono
sinonimi. Quella stessa vita che in un mese può cambiare
drasticamente, tanto da portarti da una possibile vittoria scudetto
all’addio. Doloroso per entrambi. Tanto da portare Sarri a
privilegiare l’estero perchè “allenando un’italiana, il ricordo di
Napoli sarebbe troppo forte”. Amore vero. Perchè Sarri, prima di
essere un allenatore-filosofo del calcio e un personaggio
particolare, ha sempre dimostrato di essere un uomo buono e di
principi. Un romantico del calcio. E non poteva essere diversamente
considerando la sua storia. Uno partito dal basso e rimasto fin
troppo nelle categorie minori, arrivato alla ribalta esageratamente
tardi rispetto a quel talento mostrato nel triennio azzurro.
COSA
RESTA…
E
ora che la sua avventura al Napoli è finita, c’è innanzitutto un
minimo d’amarezza per quel che poteva essere e che invece non è
stato. Tolta la squadra di Maradona, che resta un’eccezione nella
storia azzurra, il Napoli di Sarri è stato probabilmente il migliore
di sempre. Per punti collezionati in campionato, per gioco e per
tutto quel che è riuscito a esprimere. Lo dicono i numeri, lo dice
l’affetto della gente. Tutto questo resta e resterà per sempre.
Così
come resta una squadra sensibilmente migliorata negli ultimi tre
anni. Basti pensare alla differenza di rendimento di alcuni giocatori
tra il pre e post Sarri: oggi i vari Koulibaly, Ghoulam e Jorginho
sono delle realtà del nostro campionato e anche calciatori come
Callejon, Insigne, Mertens e Raul Albiol hanno migliorato
sensibilmente le prestazioni. Per non parlare di gente come Hysaj,
Allan e Zielinski, che si sono imposti arrivando da contesti
completamente diversi.
Resta
aperto il dibattito sui titoli, l’unica cosa che veramente è mancata
nella gestione Sarri. Sulla possibilità di giocarsi in modo
differente le coppe europee o di poter gestire la rosa diversamente,
valorizzando anche gli altri giocatori inizialmente non considerati
titolari. Ma, si sa, ogni filosofia lascia i suoi margini di
discussione. Una cosa è certa: il suo pensiero e il suo Napoli
hanno lasciato un segno importante al calcio italiano. E in un attimo, Maurizio Sarri, è già nostalgia…