Mihajlovic, Donnarumma e la mano del destino
“Sliding doors”, porte girevoli, è un famosissimo e citatissimo film del 1998, certo, ma è anche l’espressione migliore per poter definire Milan-Torino, in programma domenica. È una di quelle gare in cui ci mette la mano pure il destino che, a seconda di come lo si interpreti, può essere cieco o può vederci benissimo. Sinisa Mihajlovic torna a San Siro (per la seconda volta) dopo l’esonero di due stagioni fa, a sfidare Vincenzo Montella, che con i rossoneri non sta di certo attraversando un periodo felice.
Mihajlovic ha guidato i rossoneri nella stagione 2015/16. Era un Milan molto diverso rispetto a quello attuale, soprattutto negli uomini. L’allenatore serbo fu esonerato ad aprile, quando era sesto in classifica, sostituito da Cristian Brocchi, che fece da traghettatore prima dell’”era-Montella”. Oggi i rossoneri, dopo una stagione di passaggio, il cambio societario e un ultimo mercato ingente dal punto di vista degli investimenti, sono molto diversi nell’ossatura, anche se settimi in classifica.
Rispetto a quel Milan di Mihajlovic ci sono due soli titolari nell’undici base attuale: Gigio Donnarumma, lanciato proprio dall’attuale allenatore del Torino e Alessio Romagnoli, voluto fortemente da Mihajlovic, che lo aveva già apprezzato alla Sampdoria. Due uomini che devono tanto, nel loro destino rossonero, proprio all’allenatore che domenica si ritroveranno sulla panchina avversaria. “Donnarumma? L’ho fatto esordire a sedici anni e mezzo – dichiarò in un’intervista un anno fa Sinisa Mihajlovic – e fino a quel momento il portiere titolare era Diego Lopez. Berlusconi venne due volte a Milanello per convincermi a far giocare lo spagnolo. Romagnoli non lo volevano acquistare: venticinque milioni di euro. In quel momento la cifra era alta, ma in prospettiva no”. Donnarumma è un figlio calcistico, per certi versi, di Mihajlovic che, esattamente come un padre, ha anche detto la sua in estate, nel momento di massima tensione tra il portiere ed il Milan per la questione-rinnovo: “Gigio è fortissimo ma è ancora un ragazzino di 18 anni. Io gli voglio tanto bene. Per diventare un campione deve ancora crescere e farlo in una società dove tutti gli vogliono bene lo avrebbe potuto aiutare. Secondo me deve restare al Milan“. Così è stato: domenica saranno di fronte in una gara importante, per tanti motivi. Padre e figlio certo, ma anche avversari.
Sinisa a San Siro da ex c’è già tornato una volta: era la prima giornata dello scorso campionato e il Milan di Montella s’impose 3-2 in un match frizzante. Decisero la sfida una tripletta di Carlos Bacca, il centravanti mai troppo entrato nel cuore del tecnico serbo l’anno prima, e Gigio Donnarumma, tu quoque, che parò un rigore a Belotti al 96’. Mihajlovic sorrise sarcasticamente, pensando che proprio il giovane portiere che lui aveva voluto a tutti i costi buttare nella mischia, a dispetto dell’età e dell’esperienza, lo aveva condannato alla sconfitta. Proprio lui, il fiore all’occhiello della sua gestione rossonera. Il pendolo del calcio oscilla in modo strano, da sempre.
Per il resto tanto, tantissimo è cambiato, in un anno e tre mesi, rispetto a quel Milan-Torino del 28 agosto 2016. E a San Siro, ci scommettiamo, il calcio d’inizio lo darà il destino. Poi le maglie si mischieranno e i calciatori scriveranno (forse) la restante parte della sceneggiatura. Da una parte Mihajlovic, che vedrà scorrere davanti ai propri occhi questi due anni; dall’altra Montella, che proverà a scacciar via tutti i cattivi pensieri. “ll fato stabilisce le carte. Noi le giochiamo nel modo migliore”, questo, c’è da scommetterci, penseranno i due allenatori. Wolverine docet.