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Da Piacenza alla Giana, i segreti di Maspero: “Una stagione incredibile”

Ma è così difficile salvare una squadra in Serie C? Partiamo dal pensiero comune, quello secondo cui la Serie A sia di altissimo livello, la B medio, la C medio-basso. È vero, non si può negare. Però le difficoltà esistono, eccome. Questo Maspero lo sa bene. Professione allenatore, si sta facendo parecchio la sua gavetta. Lo sa, non se ne vergogna. Anzi, ne è fiero: “Sono un battitore libero”, dice. In A ha giocato tanto: soprattutto con Torino (di lui si ricorda la famosa buca del derby) e Fiorentina ha fatto vedere le cose migliori. In A, però, ancora non ha allenato. Nemmeno in B. È partito dai dilettanti e ora sta facendo la C. Tanta. Il miracolo dell’anno: salvare la Giana Erminio (41 punti in classifica, è matematico). Quello mancato: salvare il Pro Piacenza dal disastro.


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Mi aveva chiamato Londrosi, con il quale avevo già lavorato a Pavia” racconta in esclusiva a Gianlucadimarzio.com. Era stato nominato direttore generale degli emiliani a ottobre, doveva risollevare una situazione anche economica difficile. “Mi aveva detto: ‘Vieni, ho bisogno di te. Non ti preoccupare, possiamo rialzarci’. Non andò propriamente così”. Pure Londrosi fu vittima: rimase in sella fino a fine dicembre, dopo aver litigato a lungo con il suo presidente. L’epilogo, poi, è noto: una farsa a Cuneo con dei ragazzini chiamati a giocare solo per riuscire a scendere in campo. Non erano nemmeno in undici. Pure Maspero si era già dimesso qualche settimana prima: “Era una situazione diventata insostenibile. Con che faccia potevo dire ai ragazzi di dare il massimo, quando alcuni di loro venivano all’allenamento dopo aver dormito a casa dei compagni perché sbattuti fuori dal loro albergo? Riuscivo a coinvolgerli solo a sprazzi e non li biasimo per niente. Il 20 gennaio avremmo dovuto giocare contro l’Alessandria, ma avevamo solo 12 giocatori tesserati. La società ottenne il rinvio della gara e il presidente mi disse che lunedì ci saremmo visti per parlare dei nuovi acquisti. Il 21 gennaio l’ho aspettato tutta la mattina, non si è mai presentato. Allora mi sono fatto da parte”.

Un gesto che non tutti avevano capito: “Purtroppo no. Qualche mio giocatore mi ha criticato, perché mi vedevano complice di quella situazione. Ma io devo pensare a fare da referente tra squadra e società, io rispondo al presidente. È chiaro che se vengo rassicurato, rassicuri a mia volta. Non posso abbandonare la barca così, senza un motivo. A meno che la situazione non diventi insostenibile come è successo. Mi ritengo a posto con la coscienza. Anzi, a posteriori posso dire che la dimostrazione si sia avuta proprio per quello che è successo qui alla Giana”.


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Eccolo il presente, dopo un passato tormentato. Da Piacenza a Gorgonzola non c’è molta distanza. Ma le due realtà erano diverse. Quasi antitetiche. “Il 25 febbraio il presidente Bamonte mi diede le chiavi della squadra. Mi disse: ‘Fai quello che vuoi, regalami la salvezza’. Impresa molto difficile. Appena arrivato dissi al gruppo una cosa: bisogna mettersi in discussione, tenere la testa bassa e pedalare. E basta. Ho fatto il giocatore, so cosa vuol dire cambiare un allenatore: se la squadra percepisce che sia ingiusto, non accoglie bene chi arriva. Ma in generale è una questione di intelligenza: i miei ragazzi ce l’hanno, gliel’ho sempre detto. Ogni partita. Hanno dimostrato una disponibilità rara, anche perché io ho un’idea di gioco e mi piace cercare di farla arrivare a chi alleno”.

Puntare sul palleggio e sul possesso palla. Sulle linee verticali. Quando giocavo, mi snervava l’idea di dover rientrare continuamente: preferisco che magari resti un attaccante in più davanti, perché se recuperiamo la palla poi è più facile arrivare nella porta avversaria. Io credo molto nelle punte: sono quelli che ti fanno vincere”. Parla a ruota libera. Gli piace, si vede. “Ma non dire che mi ispiro a qualcuno, perché non è così. Nel senso, guardo tutti per cercare di capire cosa mi interessa e cosa meno, e da qui riparto. Ma poi, ripeto, senza i ragazzi che ti ascoltano non puoi fare niente. Loro lo sanno: sono i primi a doversi vantare per quello che hanno fatto con la Giana, è stato straordinario”. La salvezza è arrivata “nel giorno più brutto. Non tanto perché il Pordenone abbia festeggiato la promozione in B, quanto perché secondo me quella partita con quelle condizioni meteo non si poteva giocare. Sembrava una gara di pallanuoto, ho dovuto cambiare il portiere perché era inzuppato e stava morendo di freddo. Ti sembra possibile? Mi arrabbio, perché avrei voluto giocarmela, volevo far vedere a tutti che la Giana c’era. Da quando sono arrivato, abbiamo affrontato le prime cinque del campionato e abbiamo perso proprio solo contro il Pordenone. Mi è spiaciuto”.


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Passato, presente. Ora, il futuro. “Voglio restare”, dice. “Ho un ottimo rapporto con tutta la società, se da parte loro c’è voglia di proseguire, continueremo insieme. Ci vedremo la prossima settimana. Io sono contento: la Giana ha mostrato un calcio anche divertente ed era uno dei miei obiettivi”. Non si illude. Perché il calcio l’ha masticato e sa cosa vuole dire. “Proprio qualche giorno fa, mi ha chiamato Londrosi, per farmi i complimenti per la salvezza. Lasciando perdere Piacenza, a Pavia potevamo fare delle grandi cose insieme io e lui, ma venni esonerato all’ultima giornata (per Vavassori, ndr), con la squadra al terzo posto. Di una cosa sono convinto: se mi si dà la possibilità di lavorare, all’obiettivo ci arrivo. Gliel’ho detto. Con orgoglio”. Non spavalderia. Perché è vero, il livello della Serie C è più basso. Ma non facile.