Nocciolini, “Barba Bomber” di Ravenna: “Qui per la salvezza. A Parma mi sono sentito calciatore”
L’attaccante del Ravenna si è raccontato in esclusiva ai nostri microfoni. Dal suo soprannome “Barba Bomber” che lo ha reso un idolo per i tifosi alla parentesi più buia e difficile della sua carriera a la rinascita a Forlì e Parma. La sua storia.
Si può essere allo stesso tempo umili ed eccentrici? Se si parla con Manuel Nocciolini, probabilmente sì. Ala destra del Ravenna squadra che milita in Serie C nel girone B, con il vizio del gol, della musica, della moda (mai vestiti sobri, solo tanta “ostentazione”) e della barba lunga. Un vizio che nasce da lontano e ormai lo ha fatto diventare un’icona per i suoi tifosi, quasi quanto Davide Moscardelli, precursore dello stile. E se Manuel è soprannominato “Barba bomber” la colpa è dei tifosi del Parma che hanno pensato per lui questo nome: “Avevo la barba un po’ lunga e segnavo abbastanza in quel
momento e così hanno cominciato a chiamarmi in quel modo. Allora
mi sono
inventato questa esultanza di lisciarmi la barba dopo un gol. Da lì non ho nemmeno
più tagliato la barba: in primis perché mi ci sono affezionato e poi perché è
una cosa che in qualche modo mi contraddistingue
“.
Ai microfoni di gianlucadimarzio.com si è raccontato nel suo modo semplice e naturale. Senza giri di parole, un po’ sopra le righe ma in modo simpatico ed esilarante come le sue origini toscane richiedono. A 29 anni ne ha passate tante e di storie da raccontare ne ha tante, tutte belle e colorate. Ha iniziato a giocare a calcio grazie al nonno che allenava la squadra del suo paesino, Suvereto (un’oretta di macchina da Livorno), ha rischiato di smettere a 26 anni perché non trovava squadra, ma grazie alla sua forza di volontà e la sua famiglia non si è arreso e ha ricominciato meglio di prima. La Serie D e in poco tempo la Serie C con il Parma e la Serie B. La passione per il Milan e Shevchenko, ma non solo…
“Tutto è iniziato grazie a mio nonno che purtroppo non c’è
più.
Lui allenava la squadra del mio paesino, Suvereto (provincia di Livorno):
all’età di 4 anni mi accompagnava lì tutti i giorni e io vedendo tutti i
ragazzi che si allenavano ho iniziato a dare i miei primi calci al pallone.
E’
nato tutto semplicemente così, crescendo poi la mia passione è diventata la mia
“carriera”. Lui mi ha trasmesso tanta passione per questo sport
, è stato anche
il primo a portarmi allo stadio e poi mi ha fatto diventare milanista. Tutto
quello che ho è anche grazie a lui”.
Manuel Nocciolini, la maglia di Sheva conservata con gelosia (e devozione). La caduta e la rinascita: dalla D alla B in un anno e mezzo
“Del Milan mi innamorai soprattutto di un giocatore:
Shevchencko. Mi ha catturato fin da subito, non mi
ispiro a lui perché siamo in ruoli diversi, ma aveva una grinta, una voglia di
fare gol davvero uniche che non potevano lasciarmi indifferente. Poi
ho avuto
la fortuna di avere la sua maglia autografato, un’emozione grandissima. Mi ha
scritto “In bocca al lupo, Manuel”. È stata una sorpresa del mio vecchio
procuratore che sapeva questa mia passione
per lui e mi ha fatto arrivare un
pacchetto a casa con la sua maglia dentro. Ora non me ne separo mai: in ogni
squadra dove mi sposto per giocare la porto con me e la appeno in casa, nel mio
salotto. Non riesco a separarmene.
Portarla con me in spogliatoio? No no,
assolutamente no, magari poi qualcuno me la frega…
“. Genuino e unico nel suo stile, ma la sua gelosia per quella maglia è invidiabile. Un eccentrico dal cuore d’oro che sorride e segna, godendosi il momento perché se ora ripensa a quello che rischiava di essere la sua carriera poco tempo fa, quasi non ci crede.
E’ passato dall’essere senza squadra dopo essere stato svincolato dal Gavorrano a segnare, segnare e lisciarsi la barba. Quando racconta la sua storia non c’è spazio per la malinconia, le lacrime o la tristezza. Solo tanta felicità e autostima riacquisita grazie ai gol e alle occasioni importanti. Il suo motto è stato sempre “non mollare” e alla fine ha avuto ragione:
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“Non riuscivo a trovare squadra. Sei senza contratto, senza
stipendio e qualcosa ti devi inventare per campare
. Lasciare il calcio era la
mia maggiore preoccupazione perché a quel punto avrei dovuto reinventarmi,
magari nella ditta di catering di mio padre, dove comunque ogni tanto d’estate
vado a dare una mano.
Da lì è scattata una scintilla, mi sono detto: “Manuel o
continui a giocare a calcio o vai a lavorare”. Sono stato fermo otto mesi, avevo 26 anni e tanto ancora da dare.
Come sono uscito da questo periodo buio?
Ho trovato la forza dentro me stesso: sono ripartito da zero, ho chiesto al
Montichiari di potermi rimettere in gioco e grazie al direttore sportivo sono
ripartito.
Dopo lì sono andato alla Ribelle, poi il Forlì dove ho fatto
un grande campionato segnando 26 gol nel girone del Parma che mi ha notato e mi
ha portato l’anno dopo in Serie C
. E’ successo tutto così velocemente e quasi
non me ne sono reso conto. Devo ringraziare anche mia mamma e mio papà che in
quel periodo mi sono stati vicini, mi ripetevano: “Non mollare perché se
desideri tanto una cosa alla fine ce la farai ad andare a prendertela” Ed
effettivamente così è stato”.
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La telefonata del Parma a cui non voleva credere, le prime parole di capitan Lucarelli (“Pensavo mi prendesse per il c***”), il gol in finale playoff e la maglia 1+8
“La chiamata del Parma? Un’emozione pazzesca. Una squadra storica, un club glorioso e che un anno e mezzo prima si giocava l’Europa League e poi improvvisamente si ritrova nel baratro della Serie D, una squadra che vuole ripartire e ricostruirsi dalle macerie e per aiutarla sceglie me. Poi la tifoseria e la città sono innamorate del calcio. Quando mi chiamarono ho avuto la stessa reazione di Di Canio quando lo chiamo Ferguson per trasferirmi al Manchester United. Pensavo fosse uno scherzo, stavo per mettere giù.
Alessandro Lucarelli? Era un po’ il nonno e il babbo di tutti noi. Lui sapeva cosa
andava fatto e come farlo. Ti dava conforto nelle situazioni negative o come
caricarti prima delle partite.
Ci ho legato abbastanza anche perché lui è di
Livorno. Abbiamo un bel legame, quando vado a Parma lo chiamo e ci vediamo
. E’
una bella persona e mi ha aiutato tanto ad inserirmi nel gruppo.
La prima cosa
che mi ha detto? “E’ stato difficilissimo marcarti quando ci siamo trovati
contro”. Mi sono sentito mancare? No no, pensavo mi stesse prendendo per il
culo”.
Come si fa a non amarlo? Simpatico, toscano verace con la battuta sempre pronta. Un protagonista che non può passare inosservato e a Parma ci riuscì.
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“La tripletta col Parma contro il Pordenone uno dei ricordi più belli. Il pallone lo custodisco come un cimelio prezioso ma non quanto la maglietta di Sheva (ride ndr). Non lo porto con me ma lo custodisco comunque con gelosia a Suvereto a casa mia. Non vorrei che trasportandolo in giro si rovinasse. Il 17 giugno 2017 il momento più bello: un gol rocambolesco che ci ha regalato la Serie B. Del Piero disse che, in finale di Coppa Intercontinentale con la Juventus contro il River Plate, prima di calciare il pallone che poi valse la vittoria si sentì come unico presente su quel campo di gioco assieme al pallone, non vedeva la porta, nemmeno il portiere… solo lui e la palla. Io anche ho rivissuto quella sensazione: ero messo talmente male con il corpo che non ho idea di come sono riuscito a buttare quella palla in rete. Ho definito quel gol alla Inzaghi perché fu da vero rapace d’area di rigore, non so come ho fatto. Mi sono avventato ad occhi chiusi su quel pallone e l’ho buttato in rete.
Quando poi mi sono accorto che il pallone era entrato ho come per magia riacquistato tutti i sensi: ho sentito il boato del pubblico e mi sono accorto che avevo fatto un gol storico. Mi sono emozionato parecchio: non subito, ma negli spogliatoi mi sono lasciato andare. Ho ripensato al mio trascorso ad un anno e mezzo prima quando ero a casa senza una squadra e nessuna certezza per il mio futuro. E’ stato un gol molto importante per me come per il Parma, una sensazione difficile da dimenticare. Vincere un campionato di Serie C con la maglia del Parma è indimenticabile”. Si può non amarlo? No, probabilmente è vietato da qualche legge, per forza. Un uomo gagliardo fuori e tenero dentro che vive con semplicità ed emozione ogni traguardo e gioia che la vita riesce a regalargli.
La sua diversità sta anche nella scelta della maglia (la 1+8), in Serie B al Parma, anche quella non poteva essere banale: “C’è stata una richiesta da parte di Calaiò che aveva sempre avuto il 9 o l’11. In quel momento la maglia numero 11 ce l’aveva Munari ed era più facile che venisse a chiedermi a me di lasciargli la maglia numero 9. Io ovviamente non ho potuto rifiutare. Gliel’ho ceduto subito perché già per me avevo realizzato un sogno: giocare a 27 anni la Serie B. Ho chiesto allora alla società se fosse possibile, in qualche modo, non rinunciarci al 9. Così ho copiato Zamorano: ho messo un + tra l’1 e l’8″. Personalità ne abbiamo?
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Il Ravenna e i sogni da realizzare
Al Forlì, in Serie D, si mise in mostra con 26 gol. Al Parma in C 11 gol in 32 presenze. Poi la Serie B dove non è riuscito a lasciare il segno nelle 8 presenze concessegli da mister D’Aversa, la parentesi a Pordenone e ora il Ravenna dove è tornato il”Barba Bomber”. Già 9 gol e 2 assist in 28 presenze, ma non è ancora finita:
“Qui vogliamo salvarci il prima possibile. Prima raggiungiamo questo obiettivo e poi guarderemo al resto e altri obiettivi stagionali. Io per quanto riguarda me vorrei arrivare in doppia cifra, fare più gol possibili per aiutare il Ravenna a raggiungere il suo obiettivo stagionale.
Sogni da esaudire? Nel calcio, sicuramente, è arrivare nella massima serie. Calcare stadi e palcoscenici importanti. Ho dimostrato a me stesso che se voglio una cosa vado a prendermela, quindi chissà… però il mio sogno più grande già l’ho quasi realizzato: avere il mio nome scritto dietro dietro la maglia. In parte, questo sogno, l’ho esaudito due anni fa con il Parma quando in Serie C furono introdotti i nomi sulla maglia, oltre ai numeri. Nella vita? Uno in particolare non ne ho, va tutto di pari passo alla realizzazione del mio sogno calcistico”.
Ci saluta così con semplicità come ha dimostrato di essere in tutto l’arco dell’intervista. Eccentrico lo è, simpatico anche, ma Manuel Nocciolini è molto di più: forza, grinta e carattere. E’ la rappresentazione umana del detto: crederci sempre, mollare mai. Nel suo piccolo è un’ispirazione per tutti, ma a lui probabilmente interessa essere se stesso o come ama ripetere: “L’importante non è essere, ma ostentare” e lui di personalità da ostentare ne ha molta…