Leicester, Ranieri: “Nazionale? Qui ho un contratto di tre anni, ma mai dire mai”
Ancora lì, in vetta alla Premier, a portare alto il nome dell’Italia e a scrivere la pagina più bella della sua carriera. La favola del Leicester e di Claudio Ranieri continua, in attesa del finale più dolce. L’ex allenatore di Cagliari, Juventus, Roma, Inter e Napoli, tra le altre, si è raccontato nel corso di una lunga intervista concessa al Corriere dello Sport. Si parte dall’inizio, dalla scelta di sedere in panchina, lui che, come molti colleghi, il calcio lo ha vissuto anche all’interno del rettangolo verde: “In primo luogo per curiosità, la voglia di mettermi alla prova. Volevo verificare se capivo davvero di calcio, che, in fondo, è una scienza. Non esatta, certo, ma una scienza. Tutti sono allenatori e tutti pensano che sia semplice, quello che poi vedono in campo. Io volevo capire se riuscivo a far vivere, tra i ragazzi, il mio spirito, le mie idee, la mia concezione del calcio e, forse, dei valori giusti della vita. Da giocatore ero molto sensibile e mi piacevano gli allenatori con i quali si poteva parlare e farsi capire. Credo che questa sia una mia caratteristica, cercare di capire ogni singolo ragazzo per metterlo in condizione di dare il meglio, con gli altri”.
Il Leicester non è più una sorpresa: “L’anno scorso, a nove giornate dalle fine, era retrocesso. Poi la squadra infilò una serie di sette vittorie consecutive e si è salvata. Mi sembrava che ci fossero molte potenzialità, non mi sono sbagliato. Abbiamo fatto tre innesti, senza spendere la luna, e ci siamo messi al lavoro. Ciò che il presidente mi ha chiesto, al momento dell’ingaggio come programma sportivo, era la salvezza. Direi che lo abbiamo centrato. Dico sempre loro che questo è un anno eccezionale, irripetibile. Tutte le grandi sono in difficoltà e noi stiamo giocando un bel calcio Dall’inizio del campionato tutti hanno detto che non avremmo tenuto, che saremmo crollati prima o poi, che non potevamo che essere un fuoco di paglia. E invece siamo qui, senza presunzione, ma con la voglia di continuare a sognare. I ragazzi sono tranquilli, sereni. Sanno che noi dobbiamo tentare di vincere ogni partita. Mi ha colpito ed emozionato la scena dopo il pareggio con lo United, i giocatori erano tristi. L’ anno scorso avrebbero stappato lo champagne. Si può immaginare il clima che si respira in città, non solo tra i nostri tifosi. Lo stadio è sempre pieno. Ci dobbiamo provare. Ci stiamo provando. Ci proveremo. Per noi stessi, per i nostri colori, per la città che ci tiene nelle sue mani”.
L’allenatore romano torna sull’esperienza come Ct della Grecia: “Il calcio riflette la società e quel paese ha vissuto e sta vivendo momenti difficili. Dal punto di vista calcistico la nazionale ellenica aveva fatto molto bene ai Mondiali. Ma c’era da compiere un passaggio di generazione, succede. È successo anche all’Italia. Io cercavo nuovi talenti ma non era facile. Sa quanti giorni in tutto, per quattro partite, ho avuto a disposizione i giocatori? Dodici. Non sono mai riuscito a fare una amichevole per il difficile equilibrio tra nazionale e club che anche Antonio Conte ha denunciato come problema. Io devo vivere con i ragazzi, devo allenarli tutti i giorni, devo capirli, condividere le loro ansie e i loro problemi, aiutarli a diventare buoni giocatori e persone giuste. Sono allenatore da club, più che da nazionale”. Ct dell’Italia? C’è un contratto da rispettare: “Io ho un impegno triennale con il Leicester e ora sono concentrato su questo, come si può immaginare. Devo fare e voglio fare un buon lavoro, per questo club. Poi non so, non si può mai dire mai. Ma le mie caratteristiche di allenatore sono altre”.
Ranieri parla anche del periodo che lo ha visto alla guida nell‘Inter, altra esperienza non felicissima: “Il mio problema, paradossalmente, fu che andammo troppo bene all’inizio: sette vittorie consecutive, primi nel girone di Champions. Poi la squadra ebbe un calo e la situazione si fece difficile. Con Moratti ho mantenuto un ottimo rapporto. Anche perché io sono sempre stato molto chiaro con i Presidenti. Se mi chiamano li ascolto. Se il loro progetto mi convince, lo sposo totalmente e mi faccio in quattro per attuarlo. Ma poi, sul piano tecnico, nessuno deve dirmi nulla, deve cercare di influenzare le mie scelte. Sono io che rispondo di quello che faccio, nel bene e nel male. Non consento che nessuno mi dica di cosa debbo fare nel mio campo, come io non mi impiccio del lavoro altrui”. In chiusura d’intervista il manager del Leicester dice la sua sulla standing ovation che il Santiago Bernabeu ha dedicato a Francesco Totti: “Stupendo, non trovo altre parole. Tutti in piedi per un campione, un campione italiano. Quando giocai lì con la Juventus chiamai in panchina a due minuti dal termine Del Piero. Successe la stessa cosa. Gli spagnoli sanno riconoscere il bel calcio. E Francesco se lo merita. Il calciatore e il suo talento li vedono tutti. Ma tutti devono sapere che ragazzo d’oro è. Ama la Roma, Roma e la sua famiglia è lo specchio dei romani che sanno essere generosi e sinceri. Mi verrebbe da dire della città di una volta”.