Le partite a nascondino con Insigne e Verratti, la foto da bambino con Del Piero, il rapporto speciale con Zeman. Il mondo di Ciro Immobile raccontato da papà Antonio
Per capire che questa è davvero la stagione giusta, basta forse davvero ‘poco’. Due gol in due derby, di quelli speciali, quelli che valgono l’accesso alla finale di Coppa Italia: “La cosa bella è che non doveva nemmeno giocare, aveva un’infiammazione al retto femorale, però ha stretto i denti e… che gol!”. Racconti di un padre felice: “Ero allo stadio, è stata una grandissima emozione”. Immobile racconta Immobile: Ciro segna e incanta, papà Antonio – in esclusiva per Gianlucadimarzio.com – si emoziona e ricorda: “E’ stato Ciro a trasmettermi la passione per il pallone, a 5 anni voleva già che lo portassi in una scuola calcio”. Merito di? “Passava le ore davanti alla televisione a vedere partite, guardava estasiato i suoi idoli Trezeguet e Del Piero”. Sì Alex proprio lui, quello che qualche anno dopo gli avrebbe fatto spazio concedendogli la prima apparizione in Serie A: “Ciro avrà avuto 7-8 anni quando Del Piero venne a Napoli con la Nazionale militare, riuscì a farsi una foto con lui, era contentissimo”. Segni del destino. Come quello che ha visto un piccolo scugnizzo iniziare a dare i primi calci nella scuola calcio della città: “La società era il Torre Annunziata ‘88, adesso non esiste più però”. Ciro invece ha continuato eccome, ci ha sempre creduto: “Giocava sempre con i più grandi, attaccante ovviamente, e quanti gol faceva…Già da piccolo si comportava da adulto, finiti gli allenamenti si lavava tutto da solo”. Maturità, testa sulle spalle e una passione smisurata: “Io ho fatto dei sacrifici per permettergli di realizzare il suo sogno. Ma quello che ne ha fatti di più era lui. Usciva da scuola, mangiava un panino e via a Sorrento col pullman, a casa tornava quando ormai erano le otto di sera”. Sacrifici sì, ma anche tanta ambizione: “Papà un giorno farò il calciatore”.
Promessa mantenuta. Sognava e segnava Ciro, tanto. Tantissimo. Le giovanili del Sorrento ormai gli stavano strette, il grande calcio era lì ad un passo “Ma veramente dici? Non mi prendere in giro eh”. No Ciro, è tutto vero: “Quando gli dissi che lo voleva la Juventus non ci voleva credere – ricorda Antonio Immobile – per lui era un sogno”. Invece eccolo lì vestito di bianconero: niente scherzi. Due anni di Beretta, uno in Primavera: capocannoniere e miglior giocatore del Viareggio. Risultato? Esordio in Serie A, al posto dell’idolo di sempre Del Piero, “nemmeno nelle favole”. La Juve gli dà l’opportunità di crescere: prima i prestiti a Siena e Grosseto, poi l’approdo a Pescara, “la stagione della consacrazione”. Un gruppo unito, talentuoso, senza paura: “Pensavano solo a divertirsi e a giocare, il resto non gli importava”. Immobile, Insigne e Verratti, vi dicono qualcosa? “Tra di loro si era creato un legame fortissimo. Una volta in ritiro Zeman entrò nella loro stanza e li trovò chiusi nell’armadio: stavano giocando a nascondino”. Questione di spensieratezza, e di gruppo coeso: “Erano una grande famiglia e Zeman era diventato un po’ come loro padre”. Legame fortissimo, che dura nel tempo. Indovinate dove ha preso casa Immobile a Roma? “Vicino quella di Zeman, ma è stata una casualità”. Forse sì, ma probabilmente un altro segno del destino.
28 gol con la maglia del Pescara: capocannoniere della Serie B. Immobile inizia a fare sul serio, il grande passo è una logica conseguenza. Il Genoa gli offre l’opportunità di misurarsi da titolare in Serie A “ma non fu una grande stagione”. Il Genoa stentava, Ciro anche: “Quando capitano stagioni così storte spesso la colpa ricade sui giovani”. Niente paura però, perché Ciro ha le spalle larghe: “Non si è buttato giù, sapeva che la sua occasione sarebbe arrivata”. Questione di mesi: “Pronto sono Gian Piero Ventura…”. Eccola l’opportunità giusta: “A Torino ha trovato l’ambiente ideale, con Ventura poi c’era un rapporto speciale”. C’è da crederci: in granata Immobile riprende quello che aveva interrotto a Pescara. Torna a segnare a raffica, senza tregua “quando sente la fiducia dell’allenatore dà il meglio di sé”. Alla fine saranno 22 in campionato. Numeri che gli valgono la chiamata del Borussia Dortmund: “Appena è arrivata l’offerta ha accettato al volo”. Peccato che la stagione non andò secondo i piani: “era dispiaciuto perché Klopp credeva in lui”. Se la Germania non portò fortuna a Immobile, peggio andò in Spagna: “Voleva solo tornare in Italia, al Siviglia l’allenatore non lo faceva giocare. Senza motivo”. Quindi il ritorno a Torino, l’infortunio e… la chiamata della Lazio: “Era molto emozionato, non ci ha pensato due volte”. E allora via verso Roma, dove ad attenderlo c’era una maglia biancoceleste, ed un numero: il 17. “Ciro ha un po’ di riti scaramantici, per esempio è fissato col numero 17, anche se alla fine segna con qualsiasi maglia, quindi…”.
Già, i numeri contano poco, a meno che non si tratti di gol, allora la cosa inizia ad essere seria: “Inzaghi lo ha voluto alla Lazio perché sapeva di poter trovare un grande attaccante. Lo ha chiamato per convincerlo”. Questione d’intesa. Quella tra attaccanti di razza: uno adesso è seduto in panchina, ma che voglia avrebbe di tornare a far gol… L’esempio è lampante: Ciro s’invola tutto solo davanti ad Allison, insieme lui corre anche Inzaghi, indiavolato. C’è da scommettere che quella palla dentro ce l’ha messa anche un po’ lui: “Inzaghi gli sta dando molta fiducia – commenta ancora Antonio Immobile – e Ciro lo sta ripagando con la sua migliore stagione”. Già, perché il record di 22 in A è ad un passo e mancano ancora nove giornate. Numeri che gli sono valsi la Nazionale, ancora una volta, ma “il Mondiale è il rimorso più grande che ha. Ma vabbè, è stata un’esperienza comunque fantastica”. Forse ha anche un rimpianto, quello di non aver mai giocato nel Napoli, prossimo avversario della Lazio: “Ama la città di Napoli è normale, ma adesso è un tifoso biancoceleste”. E’ arrivato in alto Ciro, ma non ha scordato le sue origini: “Torna spesso a Torre Annunziata, ma non esce quasi mai, perché puoi immaginare…”. Già non è difficile capirne il motivo. Adesso quel ragazzino che giocava nel Torre Annunziata ’88 è diventato grande. La scuola calcio non c’è più, ma lui, Ciro, ha continuato a stupire, a fare gol, e non ha nessuna intenzione di smettere.