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Juventus, Allegri al The Players Tribune: “Dopo Cardiff volevo dimettermi, ora so che possiamo fare una grande stagione”

“Quando ho visto il tiro di Mario Mandžukić volare sulla testa del portiere del Real Madrid ho pensato, ‘Wow…. Forse forse’. Poi, ha colpito la rete e ho pensato: ‘Ok, forse abbiamo qualche possibilità'” . Parte dall’unico ricordo dolce di Cardiff il racconto di Massimiliano Allegri al The Players Tribune. Un contributo a cuore aperto, che dall’amara notte del 3 giugno ritorna ai vecchi tempi di Livorno, ripercorre le prime tappe da allenatore e ricorda un momento particolare al Milan, oltre che rivivere la nuova storia alla Juventus. Ne abbiamo evidenziato i passaggi più significativi:

CARDIFF: “Per arrivare in finale di Champions League non basta essere grandi, bisogna essere speciali. E noi abbiamo giocatori speciali.
Sfortunatamente il Real Madrid ne ha molti. Nel
secondo tempo ci sono mancati gli strumenti e i giocatori necessari.
Avevamo due giocatori che a malapena riuscivano a stare in piedi e il
Real Madrid ha giocato una partita intelligente. Erano rilassati e a
loro agio. Per arrivare in finale devi avere talento e fortuna. Per vincerla devi essere la
squadra migliore. Potrà sembrare strano ma alla fine della partita
quella sera ero molto sereno, perché sapevo che noi non eravamo la
squadra migliore
. È semplicemente questo”.

… E I DUBBI: “Sono
rientrato in Italia da Cardiff con la squadra. La sera successiva mi
sono fatto delle domande difficili: ero arrivato alla fine del percorso?
È il massimo che posso ottenere da questa squadra? Mi sono chiesto se era arrivato al
capitolo finale della mia storia con la Juventus. Una parte di me
pensava di andare al lavoro il lunedì e dare le dimissioni
. Poi ho pensato alle ragioni per cui sono diventato un allenatore…”.

I RICORDI: “Da ragazzo detestavo la scuola. La detestavo. Ricordo
in classe un giorno l’insegnante mi ha fatto arrabbiare e mi sono reso
conto che non ero fatto per essere uno studente ma che avrei voluto fare
il preside.
[…] Da ragazzino anche quando ero un
giocatore sapevo che volevo insegnare. Ad essere sinceri, ero uno
sregolato (un po’ matto potrebbero dire altri). Quando giocavo litigavo
con tutti gli allenatori ma non perché non mi facevano giocare ma
perche’ già avevo l’indole di fare l’allenatore e volevo gestire la
squadra a modo mio
. Quando ho smesso di giocare non c’erano molti che
credevano che avrei potuto fare l’allenatore”.

IL MILAN E L’ESONERO: Quando penso alla mia carriera il momento più importante della mia vita non ha avuto a che fare con lo scudetto o la Champions League. È
stata la mattina in cui sono entrato negli uffici del Milan e sono
stato esonerato
. Era una cosa che mi aspettavo. Mi hanno comunicato in
persona, con tatto che non ero più l’allenatore, ma questo non toglie
che è stata una grande delusione. Essere esonerati fa parte della vita
di un manager ma quando succede è inevitabile sentire nel fondo del
cuore che si ha fallito. Quando ho lasciato il Milan l’ho visto come un fallimento del mio lavoro”.

LA JUVENTUS: “Quando sono arrivato alla Juventus
tre anni fa, ho cambiato poco all’inizio. La squadra funzionava bene con Conte. Poi con l’arrivo di nuovi giocatori ho cominciato a
cambiare il sistema di gioco e a costruire la squadra che volevo –
trovando giocatori che lavorano in sintonia, rafforzando il gioco
d’attacco, cercando di essere tatticamente flessibili. E
alla fine della stagione siamo arrivati alla finale della Champions
League insieme. Andare alla finale in Champions è come andare alla prima
alla Scala.
Il lavoro che ci vuole per arrivarci. Il numero enorme di
persone che la vedono. L’atmosfera, l’emozione. Le aspettative. Non c’è
niente di simile. È come andare ad una prima. La sconfitta con il Barcellona fu una delusione
enorme, però credevo di aver imparato la lezione. Quando siamo arrivati alla seconda
finale quest’anno contro il Real Madrid pensavo di aver capito di cosa
avevamo bisogno, tecnicamente e tatticamente. Sopratutto quando Mario ha fatto quel gol straordinario e io ho pensato ‘Forse è il nostro momento’. Ovviamente, non lo era”.

I DUBBI SPAZZATI VIA E IL FUTURO: “Quando ho pensato a questa Juventus,
la mia decisione di restare è stata personale. Io ho ancora molto da
dimostrare. E so di aver ancora tanto da insegnare
. Così quella sera
prima di andare a dormire ho deciso che se la societa’ fosse stata d’accordo con
la mia strategia, sarei rimasto. Il
giorno dopo avevo la mente lucida. Sono andato in ufficio alle sette e
ho preso un espresso. Cominciava una nuova stagione con nuove
opportunità. Si è detto e scritto tanto sui media su questa squadra e sui
giocatori. Cosa possiamo fare e cosa non possiamo fare. Guardo Paulo Dybala e Gigi Buffon che sono il simbolo di questa squadra. Vedo
Dybala come un ragazzino che inizia le scuole superiori. Buffon come
uno che sta per prendere la laurea. Uno con una carriera davanti e uno
alla fine della sua. Uno che deve dimostrare che in Europa è uno dei
migliori giocatori. L’altro che è già grande ma che vuole chiudere la
carriera al meglio. So che
possiamo toglierci le scorie di Cardiff. So che possiamo fare un grande
campionato. So che possiamo fare nuovamente una grande Champions League.
So cosa ci aspetta domani, e il giorno dopo, e il giorno dopo ancora. Allora
continuiamo a lavorare sodo. Cercando di tornare alla prima alla Scala.
La cosa bella nella vita è che c’è una nuova stagione teatrale ogni anno”.