Juve Stabia, la curva in balcone e una notte da dimenticare
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L’appuntamento è dei più importanti, quasi una boccata d’aria a poche settimane dalla fine della quarantena. Torna la libertà e si rivede pure la Juve Stabia, un pezzo di cuore per i tifosi che non possono stare vicini alla squadra, Ma c’è chi è più fortunato. Non si può essere allo stadio, allora si va sui balconi. Vista campo, sopra la tribuna.
Palla al centro alle ore 21. Insieme al pallone, ci vanno anche le portate. Patrizia si dà da fare con figli e nipoti per preparare tutto: il tortano salato come fosse Pasqua (che non si è festeggiata e bisogna festeggiare), la mozzarella “è quella di Castellabate” e bisogna mangiarla, il vino invece è del padrone di casa che tira un occhio alla tavola e l’altro al campo.
D’improvviso la curva si è spostata in un palazzo: la Juve Stabia passa in vantaggio e il pubblico esulta, ma soprattutto applaude all’intervallo per rientrare subito in salotto con l’1-0 in tasca. Per il caffè è ancora presto, si può finire la cena tutti insieme. Davide – il figlio minore – si è appena fatto la doccia e non vuole asciugare i capelli per non perdersi un minuto della partita: conosce a memoria tutta la rosa dei gialloblu, ne esalta le qualità ma ne sottolinea anche i difetti se c’è bisogno.
Scatta il secondo tempo e si intuisce che qualcosa cambierà: “Che state combinando? Dormite?” Grida “l’ultras” improvvisato del quarto piano, con la vista migliore di tutti. C’è da soffrire, poi da sopportare lo sconforto. Il Livorno ne fa due in un attimo e la ribalta. Protagonista principale diventa l’arbitro, ma anche il portiere avversario beccato dai fischi e dagli insulti di tutta la scala.
L’insperato pari fa saltare in aria il palazzo dalla gioia: anche Argo, il cane del secondo piano, abbaia per la felicità. Gli manca il collare gialloblu in una città che gialloblu è dappertutto. La doccia fredda, però, è dietro l’angolo: al 95° il Livorno fa il 3-2 definitivo e persino i balconi di Castellammare perdono la voce. Si chiudono ante e finestre, ci si siede nuovamente in divano con una sola consolazione: l’odore del caffè, che nel frattempo Patrizia ha preparato sapendo di dover curare le ferite di una notte da dimenticare.