Jefferson Farfán: l’uomo della provvidenza per il Perù
Il Perù ce l’ha fatta. All’ultimo, ma ce l’ha fatta. Trentasei anni dopo la Franja Roja ritrova la fase finale di un Campionato del Mondo, una vera e propria obsesión per ogni popolo latinoamericano che si rispetti. Il Perù torna al Mondiale senza il suo uomo più rappresentativo: Paolo Guerrero, sospeso in attesa di giudizio sul caso doping, ha festeggiato in Brasile la qualificazione dei suoi compagni, con la speranza di poter partecipare alla spedizione russa a giugno.
Un obiettivo quasi impossibile per come si erano messe le cose a poche partite dalla fine, con un Perù rientrato in corsa solo grazie ai 3 punti ottenuti a tavolino contro la Bolivia. Per riportare il popolo peruviano nell’élite del calcio internazionale c’è voluta la provvidenza. Una provvidenza che ha il volto di Ricardo Gareca e Jefferson Farfán. E se il ct argentino va applaudito per essere stato uno dei pochi a crederci anche quando le speranze erano minime, Farfán è stata la grande sorpresa di queste qualificazioni. In assenza di Guerrero, è stato proprio lui a prendere per mano la squadra: nello spareggio contro la Nuova Zelanda, il giocatore della Lokomotiv Mosca è stato di gran lunga il migliore dei suoi, risultando decisivo su entrambe le reti segnate questa notte.
El Bocón, il quotidiano sportivo più venduto in Perù, lo aveva definito “hombre de la providencia” già qualche mese fa, quando lui ed un suo compagno di squadra salvarono la vita a due donne vittime di un incidente stradale per le vie di Mosca. Quella sera Farfán, che stava rientrando dagli allenamenti, si prese una grande responsabilità. La sua grande qualità è proprio questa: non si tira mai indietro, soprattutto se di mezzo c’è il suo paese.
Sul piano professionale non è mai stato un giocatore affidabilissimo. La sua carriera è piena di colpi di testa extra campo (ai tempi dell’Al Jazira lasciò il ritiro con la scusa di tornare a casa per curarsi, ma venne paparazzato più volte in piacevole compagnia in un locale chiamato “El Búnker”, tra i più famosi di Lima), ma tutte le volte che ha indossato la maglia della nazionale Farfán si è sempre comportato da giocatore modello. Le sue doti carismatiche lo hanno portato ad essere eletto leader naturale di un Perù orfano del suo capitano, e lui ha ripagato la fiducia del gruppo con gol pesanti e giocate decisive.
Il suo sviluppo precoce ha contribuito alla formazione del suo carattere; a Villa El Salvador – quartiere di Lima in cui è nato – arrivare a fine giornata era l’obiettivo principale, e quando a 14 anni l’Alianza lo acquistò dal Deportivo Municipal il primo pensiero andò subito alla famiglia. Con quei soldi, finalmente, il ragazzo poté mantenere i genitori e i suoi fratelli. Nipote d’arte, Farfán ha ereditato dagli zii Roberto e Rafael il soprannome che si porta dietro ancora oggi: la Foca.
In Perù gode di una grande stima, basti pensare che è l’unico giocatore in attività – assieme a Guerrero – ad essere considerato alla pari di leggende come Teófilo Cubillas, Juan Carlos Oblitas ed Héctor Chumpitaz. La credibilità se l’è costruita da solo, grazie ad una carriera di tutto rispetto nella quale spiccano undici anni passati in Europa tra PSV e Schalke.
Il carattere forte della Foca, che in passato gli ha permesso di superare tanti infortuni, si sgretola esclusivamente davanti alle emozioni che solo la maglia della propria nazionale può regalare. Le lacrime dopo il gol segnato alla Nuova Zelanda, la dedica a Guerrero e il saluto alla tribuna dell’Estadio Nacional dopo il fischio finale ne sono la testimonianza.
Lassù, in mezzo a tante bandiere biancorosse, c’era la sua famiglia. Quella di sangue, ma non solo.
Andrea Bracco – Tre3Uno3