E alla fine arriva Tudor. L'Udinese cambia allenatore per la terza volta in stagione. L'incubo della retrocessione a un solo punto, l'ambiente in cerca di un rimedio. Situazione già vista. Solo un anno fa: il croato arrivava a quattro giornate dalla fine e conduceva alla salvezza Lasagna e compagni.
All'epoca era un azzardo. Oggi invece è un 'usato sicuro', almeno sulla panchina bianconera. "Come si salva l'Udinese? Facendo punti", aveva detto al suo arrivo in Friuli. Ne bastarono 7 in quattro partite, alternando difesa a tre e a quattro. Pareggio con beffa a Benevento, brutto 4-0 a San Siro, due vittorie di misura contro Hellas e Bologna. Pochi fronzoli, tutta questione di risultati.
Dialettica alla Boskov, ma i miti sono altri. Ancelotti e Lippi, quelli che più puntarono sul difensore. E Edy Reja, che sgrezzò l'allenatore ai tempi della sua Spalato (2009), quando Igor ne era il vice all'Hajduk. Aveva appena smesso di giocare, a soli 30 anni. La caviglia non gli dava tregua. Eppure Tudor riuscì comunque a segnare un'epoca: dalla Croazia di Suker (terza ai Mondiali del '98) alla Juve di Lippi. 174 presenze e 21 gol, tra Ferrara e Montero. Uno di questi, contro il Deportivo La Coruña, sarebbe potuto passare alla storia. Ma nella notte di Manchester, di mezzo si mise Dida.
Amarcord bianconero. A cui Tudor è indissolubilmente legato, non solo a Torino. In Italia l'ultima parentesi da giocatore è stata al Siena (2005/2006). Non vi farà ritorno fino all'anno scorso: sull'altro lato del campo, dopo cinque anni da allenatore a tempo pieno (oltre all'Hajduk, anche PAOK e Galatasaray nel curriculum). I colori sono sempre quelli, finora sono stati la sua fortuna. Udine se lo ricorda. E prova a ripetere una storia già vissuta.