Quella pacca sulla spalla di Inzaghi, Ledesma come un fratello maggiore e “11 minuti di fuoco” del suo passato che non dimenticherà mai. Adesso il presente all’Arezzo, con un obiettivo ben preciso da raggiungere. E in mezzo tanti sogni. “Un sognatore è colui che può trovare la sua strada al chiaro di luna e vedere l’alba prima del resto del mondo”. Forse il calcio non era lo sport preferito da Oscar Wilde, ma quando un giocatore è anche un sognatore inevitabilmente deve essere anche realista. Un ossimoro? Può darsi ma “se non fossi stato un sognatore non avrei mai esordito in Serie A. Ogni volta che chiudo gli occhi mi immergo in un mondo tutto mio e cerco con tutta la mia forza di esaudire ogni mio piccolo desiderio. Ma mantengo anche i piedi per terra e sono realista. Il presente dice Arezzo, è nel mio cuore e spero di raggiungere l’obiettivo con questa squadra”. A parlare è Alessio Luciani e quell’obiettivo di cui parla è la Serie B.
Arrivato in Toscana nell’estate 2016, la scorsa giornata contro la Lupa Roma ha segnato il suo primo gol con questa maglia (il secondo in carriera): “Non è stata una rete scontata perché è venuta dopo un momento particolare. Era circa un mese e mezzo che stavo fuori per un infortunio al ginocchio”. Emozionante e decisivo: “Infatti ci ho messo un po’ a metabolizzarlo… In tribuna c’era mio padre, i miei amici, la mia ragazza”. Insomma, tutte le persone che gli sono state vicino nell’ultimo difficile periodo. Dalla fidanzata con cui spesso scambia infiniti passaggi di testa (d’altronde, lei è psicologa), a quella famiglia che da sempre l’ha aiutato a realizzare il sogno di diventare un calciatore. Da quando ogni giorno percorrevano Rieti-Formello, Formello-Rieti per portarlo agli allenamenti, quando cresceva nelle giovanili della Lazio: “Mi ricordo tutti quei chilometri… E’ stato un bel sacrificio da parte loro - ha proseguito ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com -. E io ci ho messo del mio, mi sono impegnato, pranzavo e studiavo in macchina. Tutto questo infatti va alla mia famiglia. La soddisfazione più grande avuta con la maglia della Lazio? L’esordio in Serie A e in Europa League: ricordo ogni particolare come fosse ieri. Magari spero un giorno di ritornarci…”.
Tanti ricordi, tante amicizie, come quelle con Mendicino e Tremolada con cui ha fatto anche un viaggio negli Stati Uniti. “Esperienza irripetibile”, una di quelle indelebili come il tatuaggio che proprio Mendicino si è fatto a Chicago. E Luciani? “No, io no. Non ho tatuaggi, sono un calciatore un po’ anomalo”. Ma nel cuore resta l’esordio in Serie A, quegli “11 minuti di fuoco” di cui si ricorda davvero tutto: “Giocammo quella partita con una difesa a 4 un po’ anomala e come terzino sinistro giocava Del Nero messo lì per necessità. Ci andammo a scaldare io, Dabo e Meghni e il mister fece entrare loro due. Poi vidi Simone Inzaghi che veniva a scaldarsi anche lui, gli dissi ‘Simone ti prego fai entrare me’ e lui rispose ‘Ma sì, vai vai’. Mi ha dato una pacca sulla spalla e mi ha detto di fare uno scatto dietro la porta di Frey e poi di tornare lì. Già si era reso conto che Del Nero aveva i crampi. Tornai lì, alzai lo sguardo e vidi il vice di Ballardini che mi chiamava. Feci una corsa clamorosa e Ballardini mi disse cosa dovevo fare: non dovevo farmi saltare e sulle palle inattive dovevo marcare uno scarso… Jovetic. Avrei avuto anche l’occasione di fare gol, in contropiede, ma Zarate non me la passò…”. L’aneddoto nel ricordo, col sorriso.
Cose che restano, per un laziale, cresciuto in un paese (Pescorocchiano, in provincia di Rieti) di “450 anime, di cui 400 tifano Lazio”. E che festa dopo quell’esordio. “Il giorno dopo tutti mi chiamavano, non lo scorderò mai più. In quella squadra tutti mi spronavano ma chi mi ha riempito di consigli è stato Ledesma. E’ stato come un fratello maggiore, mi diceva di rimanere con i piedi per terra. A lui devo tanto per quell’esordio. Inzaghi? Vederlo sulla panchina, lui, ex compagno di squadra che già in campo era un allenatore mi riempie di orgoglio”. Esordio con Ballardini, poi ‘a farsi le ossa’ in Lega Pro: Lumezzane (“Lì ero con Davide Nicola, un allenatore a cui sono particolarmente affezionato. Dopo il gol mi ha scritto un messaggio, mi ha detto di continuare così”), Salerno, Gubbio, Monopoli ed ora l’Arezzo con Sottili, uno che “riesce a mantenere tutti i giocatori sullo stesso piano. Dà consigli per maturare e crescere, e dà molta importanza a ogni giocatore: tutti utili e nessuno indispensabile”.
Eccolo, uno dei segreti di questa bella stagione dell’Arezzo terzo nel Girone A di Lega Pro: “A inizio anno se ci avessero detto che a questo punto saremmo stati in questa posizione di classifica forse non ci avremmo creduto, non ce lo saremmo mai aspettato. Siamo coscienti del fatto che quello che stiamo facendo è davvero importante, siamo una bellissima squadra e un bellissimo gruppo dal punto di vista sportivo e umano”. Qualche cena ogni tanto e le istantanee più belle della stagione sono “le vittorie nei derby, le feste sotto la curva”. Senza dimenticare la ‘partita della svolta’: “In casa contro l’Alessandria, battendo la capolista, abbiamo capito di che pasta eravamo fatti nonostante qualche passo falso che non ci ha demoralizzato. Continuiamo questo sogno con la nostra ambizione”.
Riecco i sogni, quelli che non abbandonano mai Luciani, un giocatore che come idolo ha suo papà e non dimentica le origini, infatti “mio padre al paese ha un piccolo alimentari e quando posso gli do una mano a negozio, a tagliare il pane dietro il bancone. Abbiamo anche terreni e un piccolo trattore, coltiviamo le patate. Poi ho la passione per la musica: ho iniziato con la banda del mio paese ero diventato un gran trombettista ma poi ho lasciato per dedicarmi al calcio”.
Ritratto di Alessio Luciani, sognatore… realista: “Questo terzo posto è meritato, è un traguardo importante. Sono felice ma non voglio fermarmi, non voglio accontentarmi, voglio sempre il meglio da me. Sono un sognatore”.