Salvatore Campilongo si racconta: “Andai via da Cava piangendo, in futuro sogno la B”
La nostra intervista all’allenatore della Cavese Salvatore Campilongo
Un amore forte. Finito bruscamente ma destinato a continuare. Come in un film difficile da decifrare, ma che quando meno te l’aspetti è pronto a sorprenderti. Salvatore Campilongo, napoletano di nascita ma cavese d’adozione, preferisce chiamarla favola. E’ bastato un solo messaggio a settembre. Un incontro. Poche parole e “Sasà”, come lo chiamano a Cava de’ Tirreni si è ripreso squadra e sorriso. Così dopo 12 anni è tornato sulla panchina della sua Cavese, attualmente 13esima nel Girone C di Serie C. Uomo umile e meticoloso. Due le cose realmente fondamentali, come racconta per gianlucadimarzio.com: “La famiglia. Per me è sacra, poi c’è il calcio. La mia vita è racchiusa qui”. Una sola inaspettata passione: la caccia: “E’ una cosa che facevo sempre con mio papà”. Una vita vissuta a pane e pallone: “Sono nato a Fuorigrotta. Dal balcone di casa guardavo i calciatori del Napoli. Della mia infanzia ricordo come fosse ieri, le partite che facevamo tra le scuole calcio dei vari rioni di Napoli nel campo antistante la Curva B del San Paolo”. A 18 anni l’esordio in Serie A con la Lazio, prima del rimpianto più grande chiamato Milan: “I rossoneri mi offrirono meno di quanto percepivo. Dissi alla società che se mi avessero offerto la stessa cifra avrei accettato. Uscii da Via Turati per concludere tutto, ma invece di definire i dettagli tornai a casa”. Un errore di gioventù, che per sua stessa ammissione, gli ha segnato la carriera.
CAMPILONGO: “IO ALLENATORE PER CASO”
Fare l’allenatore non era nei piani di Campilongo: “Fui nominato direttore sportivo della Casertana. Costruimmo un’ottima squadra, ma i risultati non arrivavano. Dopo due esoneri mi fu affidata la panchina”. Due gli allenatori che ama ricordare: Giuseppe Caramanno e Giampiero Ventura. Il primo lo allenò alla Casertana: “Ero stato l’acquisto più importante della squadra, ma non riuscivo ad esprimermi al meglio. Pensai di andare via e lui invece mi disse di trascorrere una settimana con la mia famiglia senza allenarmi. Una volta tornato diventai il capocannoniere”. Ventura invece fu un vero maestro: “Lui è un insegnate di calcio. Ricordo che voleva sempre stare con noi calciatori, anche durante le cene, le feste. Aveva grande senso dell’umorismo. La Nazionale? Lui è un allenatore da club, ha bisogno del lavoro sul campo e del contatto con i calciatori”.
LA CAVESE: “TUTTO E’ RICOMINCIATO DOVE ERA FINITO”
L’esperienza più bella della sua carriera l’ha vissuta proprio a Cava de’ Tirreni dal 2004 al 2007: “La mia vita di allenatore è nata con la Cavese. Sono stati gli anni più belli. Credevo fortemente di andare in B e i playoff persi con il Foggia sono il rimpianto più grande della mia carriera”. Poi ammette: “Quando andai via piansi. Sono state dette tante cose sul mio conto che non rispecchiavano la realtà. Il mio cuore rimase a Cava”. Da lì in poi, la carriera di Campilongo è una vera e propria altalena. Dalla B alla D, scelte sbagliate e campionati vinti: “Sono sceso in D perché mi mancava allenare”. Eppure: “Io mi sentivo un professionista, invece, sono stato etichettato da molti addetti ai lavori come allenatore di serie inferiore, solo per essere sceso di categoria”. Un sorriso a metà, fino allo scorso settembre: “Una mattina trovo inaspettatamente un messaggio del presidente Santoriello che mi invitava in sede. Dire che ero felice è poco. Un retroscena? Una volta firmato il contratto la moglie del presidente mi disse di essere certa che io sarei diventato l’allenatore della Cavese”. Poi aggiunge: “Amo questa città, è come se non me ne fossi mai andato”. Con il tempo la squadra sta cambiando pelle: “E’ un gruppo di grandi lavoratori. Stiamo crescendo sia come mentalità che come gioco, è solo questione di tempo”. Un rapporto speciale con la gente di Cava, che ora si sta ricostruendo dopo il doloroso addio del passato: “Lasciare Cava per andare a Foggia, dopo che perdemmo proprio contro i rossoneri la semifinale per andare in B, fu un errore. Fece male a me quanto ai tifosi. Ora però è passato. Da me questa gente si aspetta tanto”. Cosa mi manca? Andare sotto la curva, ma ogni cosa arriverà al momento giusto".
Sull’obiettivo di quest’anno non ha dubbi: “Dobbiamo salvarci. Raggiungere i playoff sarebbe un risultato straordinario”. Il Sogno? “Io voglio portare la Cavese in Serie B in futuro. Dipende da tanti fattori, ma questa società e questa gente lo meriterebbero. Sarebbe il lieto fine della nostra favola”. Salutiamo Campilongo, professionista serio e sorridente, perché nel calcio come nella vita essere persone vincenti prescinde dalle categorie.
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Foto: Ufficio stampa Cavese