Ascoltare la risposta, per comprendere il personaggio: parole pesate e obiettivi chiari. La squadra era in C1 e lottava con il Palermo per la vetta: “Arrivai nel mercato di gennaio da Pescara, quando scendi di categoria lo fai per vincere. Certo, non pensavo ci saremmo spinti a quel punto, ma il progetto era solido e puntava in alto”.
CARTOLINE DA MESSINA
Sasà in riva allo Stretto si ambienta benissimo, prende per mano i compagni e si carica di responsabilità. A giugno, nel derby col Catania, batte il rigore che vale play-off e promozione: “Fu un regalo di Enrico Buonocore, eppure – confessa- non avrei mai voluto tirarlo. Se avessimo vinto ad Avellino non avremmo disputato gli spareggi e, forse, una famiglia avrebbe ancora un caro accanto. Durante la partita morì Tonino Currò ed è un paradosso diventare indimenticabile in un’occasione da altri ricordata come una tragedia”. Assurdi disegni della vita: il tono si fa triste, la voce roca.
Le stagioni scorrono, Sullo rimane la costante e a 38 anni di distanza dall’ultima volta, nel 2004, trascina il Messina in Serie A da capitano: “Sono attimi in cui non realizzi pienamente quanto ti accade intorno. Credo che tutti, tifosi compresi, abbiano capito solo dopo il valore reale di quei campionati”.
Sasà, non più giovanissimo, pur all’esordio, gioca da veterano: “Delle 500 partite che ho giocato in carriera, oltre la metà sono state in B. Per la Serie A, nel mio ruolo, all’epoca dovevi essere un fenomeno. Nonostante ciò, sapevo di poterci stare e quell’esperienza lo ha confermato”.
L'inizio è da sogno. Un pari contro il Parma per rompere il ghiaccio, poi la vittoria per 4-3 contro Roma. Sasà segna, la gente piange e si stropiccia gli occhi: “Conquistammo la promozione al Celeste e quello fu il primo gol su azione nel nuovo stadio. Parisi aveva realizzato un rigore, quindi toccò a me”.
E’ l’apoteosi di una favola, in cui la parte del nemico spetta a una terribile malattia. In un recupero infrasettimanale Salvatore gela l’Atalanta, regalando ai suoi una grossa fetta di salvezza. Dì lì a poco scoprirà di avere un tumore: “La città mi si è stretta intorno, non lo dimenticherò mai. Decisi di rimanere a Messina, non volevo vivere da malato. Andavo agli allenamenti, chiaramente senza cambiarmi, ma continuavo a respirare l’aria del campo. All’inizio i ragazzi mi guardavano un po’ diffidenti, poi hanno ripreso a trattarmi normalmente. E’ stato importante non rinunciare alla quotidianità”.
La squadra conclude al settimo posto il miglior campionato della sua storia e all’ultima, con il Livorno, Sullo si rivede per una manciata di minuti. Coppola lo saluta e gli cede la fascia, intorno uno stadio in piedi, gli riserva la più meritata delle standing ovation: “Avevo collezionato 17 presenze e chiesi di poter fare la diciottesima. Al di là di Carmine che è un fratello minore, ci fu enorme sensibilità da parte dell’interno ambiente. Ancora stavo lottando, non sapevo come sarebbe andata la battaglia. Il vero rientro fu contro il Chievo, l’anno successivo”.
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