Fernando Redondo ha rilasciato una lunga intervista al quotidiano argentino La Nacion. Si sofferma soprattutto sul calvario vissuto dopo l'infortunio al legamento crociato: "Prima di trasferirmi a Milano avevo fatto il precampionato con il Real Madrid. Ma al Milan era tutto diverso: allenamenti duri, con molti carichi e molto lavoro di forza. Non dissi nulla, anche un po' per orgoglio. Ma ero morto muscolarmente. Avrei dovuto fare un adattamento progressivo ma l'ho capito solo dopo. E facendo una giocata mi ruppi il legamento crociato".
Redondo visse un calvario di due anni, con diverse operazioni e diversi viaggi alla ricerca di una soluzione sembrava non arrivare mai. "La prima operazione non è andata bene, sono stato operato da un medico italiano che era intervenuto con altri giocatori del Milan, ma non era uno specialista del ginocchio. Il problema non fu tanto nell'operazione ma che nel recupero il ginocchio mi gonfiava e mi faceva male. I medici dicevano che dovevo superare la barriera del dolore. DIventava sempre più difficile, alla fine il ginocchio si è infiammato e la situazione stava peggiorando".
L'argentino decise allora di parlare con Galliani rinunciando allo stipendio e affidandosi ad altri medici: "Gli chiesi di non pagarmi lo stipendio fino a che sarei tornato giocare. Avevo bisogno di lasciare Milanello perché tutti mi chiedevano quando sarei tornato e io non sapevo cosa dire. Se tutto questo fosse successo a Madrid, sarebbe stato diverso, perché aveva già dato tanto per il club. Ma a Milano non ero stato in grado di giocare nemmeno un minuto. Era una situazione terribile".
Da lì la decisione di affidarsi ad altri medici: "Decisi quindi di consultare i migliori specialisti del ginocchio in tutto il mondo. Il Prof. Martens ci diede molta sicurezza. Su sua indicazione utilizzai una tecnica chiamata Bier Block, vietata in Italia che ha agito sul sistema nervoso centrale per rompere il ricordo del dolore".
Redondo ricorda ogni momento di quel periodo: "In sala operatoria mi sollevarono la gamba, mi tolsero tutto il sangue con un laccio emostatico sotto l'effetto dei farmaci. Il rischio era che se qualcosa di quello fosse andato al cuore, avrei potuto avere un problema. In quel modo sono stato in grado di superare la soglia del dolore e lavorare sulla riabilitazione. Ho fatto tutto. Mi portarono a Knokke, una località turistica estiva nel nord del Belgio, ma in inverno! Vedendo che potevo superare il dolore e l'infiammazione, ho dato il massimo, sono stato in grado di recuperare e giocare per altri due anni".