Per ora, però, è cambiato poco: “Il mister non ha tutta la rosa a disposizione e quindi mi fa allenare. Sa che mi tiene vivo”. Dopo entrerà nel suo staff: “Mi ha insegnato a diventare calciatore e ora mi insegnerà a diventare allenatore. E poi la mia vita si è sempre basata sul calcio. Un’altra cosa la potrei imparare, certo. Però non la vivrei mai con la stessa passione”. Maccarone per il calcio si è fatto anche licenziare. Aveva 15 anni e in estate scaricava cassette di anguria. Era il 1994, l’Italia sarebbe arrivata fino alla finale del Mondiale americano: “Il titolare non mi faceva andare a vedere le partite. Iniziavano alle 20 ma il turno era dalle 15 alle 21. Allora un giorno gli rovesciai per terra tutti i cocomeri: ‘Non ti voglio più vedere!’ mi urlò, Era proprio quello che volevo sentirmi dire”. Difficile spiegarlo a papà, però: “Mi diceva sempre: ‘O vai a scuola o lavori’. Studiare era difficile. Giocavo nelle giovanili del Milan, uscivo di casa alle 7 e tornavo la sera alle nove fra treni e autobus. Allora in estate dovevo lavorare. La verità gliela raccontai solo molti anni dopo: ‘Sei un disgraziato’, mi rimproverò”.
Il figlioccio di Capello
Sebastiano Rossi, Maldini, Costacurta, Boban, Weah, Kluivert… “Tutti campioni che mi avevano preso in simpatia”. Massimo arriva al Milan nel 1993. Tre anni dopo si allena già con Capello, che gli sta addosso e lo rimprovera spesso: “Non ti preoccupare, fa così perché sei il suo figlioccio”, lo incoraggiano i compagni con una pacca sulla spalla. Aveva 16 anni ed era un ragazzino timido, riservato. Come Di Natale. I due si conoscono ad Empoli nel 2000. Sono la coppia d’attacco di Baldini, che porterà gli azzurri in Serie A: “Totò veniva dalla C2, all’inizio ebbe problemi – ricorda Maccarone – ma in allenamento era impressionante, mi colpì il fatto che riuscisse a palleggiare con qualsiasi cosa gli venisse lanciata. Che tecnica. Doveva soltanto credere di più in se stesso. Fra di noi in campo c’era grande affinità. Fuori un po’ meno. Lui era già fidanzato, io invece ero single. La sera uscivamo separatamente (ride ndr)”. Nel 2001 intanto al Milan non c’è più Capello, ma Terim: “Mi voleva tenere. A Milanello mi fecero le visite, sarei dovuto partire per il ritiro”. Poi però succede che l’Empoli si aggiudica il cartellino alle buste: “Misero 6,1 miliardi di lire, il Milan si fermò a 6. Lo sapevo già perché a quei tempi c’erano le soffiate – sorride - all’inizio non la presi bene. Ma chissà, restando a Milano forse non avrei fatto la stessa carriera”.
“Abbiamo preso il nuovo Del Piero!”
Un anno dopo, nel 2002, Massimo è ad un passo dalla Juventus: “Il mio procuratore parlò con Moggi: ‘Qui in sede c’è già il contratto pronto, devi solo firmare’, mi disse. Però avevo molto mercato anche in Premier e dall’Inghilterra offrivano di più. All’Empoli, non a me. Nella mia carriera non ho mai guardato ai soldi”. Chi bussa con più insistenza è il Middlesbrough: “All’ennesimo club rifiutato l’Empoli mi disse: ‘Prendi un aereo e vai lì tre giorni per vedere se ti piace’. Atterrai all’aeroporto di Manchester e ad aspettarmi c’era l’allenatore… del Bolton! Mi portò a prendere un caffè, voleva convincermi in extremis”. Troppo tardi però, Massimo va al Boro. In panchina trova Steve McClaren, che è entusiasta come un bambino: “Abbiamo preso il nuovo Del Piero!”, esulta in conferenza: “Ma non c’entravo niente con Alex, la gente lo ha capito dopo poco”, se la ride ancora oggi Maccarone. Non saranno anni facili. Un po’ per gli infortuni, un po’ perché con l’allenatore non scatterà mai la scintilla. I tifosi, però, lo amano: “Ogni volta che mi alzavo dalla panchina, partiva il coro: ‘'He's Here, He's There, He's Every Fucking Where... Massimo, Massimo, Massimo’. Mi volevano bene. Giocavo poco ma, quando entravo, segnavo sempre”.
Come nel 2006, anno in cui trascina gli inglesi fino alla finale di Coppa Uefa: “Ai quarti perdemmo a Basilea 2-0. Non giocai. Al ritorno il mister, disperato, mise in campo tutti gli attaccanti, me compreso. Mi schierò esterno e all’ultimo minuto segnai il 4-1 che ci qualificò. Stesso discorso in semifinale con la Steaua Bucarest. Ko per 1-0 all’andata. Al ritorno ce ne fanno due in 30’. Il mister mi butta dentro e segno una doppietta. Finirà 4-2 per noi”. In città è un Dio, sono tuti pazzi di Big Mac: “Dopo le partite, andavo sempre a cena in un ristorante italiano. C’era un’enorme vetrata trasparente, che lasciava vedere l’interno. Dopo i due gol alla Steaua, quando uscii, c’era una folla incredibile ad aspettarmi”.
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