La musica per raccontare la propria vita, anche se forse sarebbe più adatto uno schermo televisivo, che il palco di un concerto per narrare la sua storia. “Così mi fai sorridere. Ti ringrazio, ma io sono così e te lo sto raccontando con il cuore”. Dalla nostalgia alla spensieratezza, dall’entusiasmo al rammarico che sarebbe potuta andare diversamente: c’è un mix di emozioni nelle parole di Juan Ignacio Antonio a gianlucadimarzio.com.
Dalla Patagonia a Liverpool, fino alla Tunisia
Il pallone e la chitarra sono i due oggetti che hanno sempre accompagnato l’ex trequartista argentino di Brescia e Sampdoria, tra le altre. “Da bambino tornavo a casa dagli allenamenti e trovavo sempre mia mamma a suonare e cantare. Era un amore che doveva sbocciare”. Figlio di Andrea e Juan Daniel, avvocato e notaio, all’età di 27 anni ha deciso di lasciare il calcio per diventare musicista, dopo una serie di circostanze. “Sono stato imbrogliato dalla Sampdoria, il presidente Ferrero mi ha venduto al Parma e secondo me sapeva che stava per fallire. Io ho accettato quella situazione e dopo qualche mese il club è fallito. Non avevo squadra ed ero infortunato, con tanti soldi persi. Non avevo la forza di ricominciare. Sapevo che volevo fare il musicista, ma avevo una sensazione di tristezza”.
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Eppure, l’inizio della sua carriera era stato brillante. Prima di entrare nelle giovanili del River Plate, il classe 1988 era stato convocato dall’Argentina Sub-17 per il Sudamericano di categoria, con Agüero e il Papu Gómez. “C’era un raduno di giocatori in Patagonia per dei provini ai quali erano presenti gli osservatori della nazionale e mi notarono. Mio padre voleva che finissi la scuola e per questo non mi sono trasferito subito a Buenos Aires, ma facevo 2000 chilometri per andare e tornare dagli allenamenti e dalle partite del River”. Qualcosa di simile era successo anche qualche mese prima, ma si trattava di trasferirsi in Europa. “Venni segnalato a un agente che mi fece fare una prova di una settimana al Liverpool. Andò bene, sarei potuto rimanere, ma avevo 15 anni e mio padre non se la sentiva. Sono stato anche in Italia, in prova all’Inter. Tutti questi provini mi servivano per aumentare la mia autostima. Non andavo lì pensando di poter restare, ma mi godevo il momento”.
Esperienze positive, ma non sempre. “Avevo 21 anni, il River mi stava per scaricare e non voleva che continuassi a giocare in Argentina. La mia famiglia mi diceva che avevo due opzioni: lavorare o studiare”. Poi la svolta. O almeno all’apparenza: “Prima di andare al Brescia sono finito in Tunisia. Ricevetti una mail da un procuratore, con la proposta di andare a giocare un anno in Africa e poi da lì andare in Europa. Venni imbrogliato e ricordo che durante il viaggio in aereo, l’agente cambiava versione. Ero partito convinto di dover firmare un contratto e invece si trattativa di un provino. L’ennesimo. Giocatori molto fisici, c’era vento e giocavano solo a lanci lunghi, non riuscivo neanche a calciare in porta. Andò malissimo e dopo tre giorni sono tornato a casa”.
Il trasferimento in Italia
La sliding doors è arrivata comunque grazie a un altro procuratore, Filippo Colasanto, che lo vide al Monumental nel secondo tempo di una partita del Torneo Reserva contro l’Argentinos Juniors, mentre aspettava il fischio d'inizio della gara della Prima Squadra che si sarebbe giocata dopo. In quella formazione c’era anche Lamela, ma le giocate di Iñaki offuscavano quelle del Coco. “Si è presentato come un procuratore italiano, mi ha chiesto di incontrarci. Per me era come trovare l’acqua nel deserto. Lui ha creduto in me, a differenza di altri che volevano solo vendermi”. Dal sud dell’Argentina alla Serie A. Venne proposto al Napoli e all’Atalanta, ma alla fine sono le Rondinelle a scommettere sul suo talento. “Con Gabriele Savino mi hanno portato a Brescia. Dopo aver visto un video, il ds Nani e Iachini hanno voluto valutarmi e dopo un mese di allenamento ho fimato il contratto. In quel momento sono scoppiato a pinagere”.
L’Italia è stata la sua seconda casa. Vuoi per le origini italiane della famiglia, vuoi per i quattro anni vissuti tra Brescia, Genova, Varese, Ascoli e Salò. “Vorrei ringraziare la famiglia Bianchi, umili ma con un cuore grande: loro mi hanno aiutato tanto quando sono arrivato a Brescia. La promozione in A con la Samp è il ricordo più bello, con un ds fantastico, il migliore che ho avuto: Pasquale Sensibile, un uomo colto ed educato. Persone come lui fanno bene al mondo del calcio”. Per quanto riguarda invece gli allenatori: “Gli allenamenti di Iachini, il carattere di Castori e il calcio di Scienza: questa è la sintesi della mia esperienza in Italia. Scienza per me è stato come un padre. L’ho conosciuto a Brescia, non mi dava indicazioni, ma mi diceva: “Gioca come se fossi a casa tua in Argentina”. Quando è fallito il Parma e ho perso più di un milione di contratto, io ero tristissimo e non volevo saperne più niente dei soldi o della fama. Volevo solo divertirmi e per questo prima del fallimento del club, l’avevo chiamato per sapere se ci fosse spazio per me alla Feralpisalò e mi ha aperto le porte”.
Dalla Serie A alla Serie C. Un salto nel buio, anche a causa di alcuni infortuni che negli ultimi tempi lo avevano frenato. Nel 2015 decise di cambiare e così glielo ha comunicato alla persona che cinque anni prima lo aveva ‘salvato’. “Eravamo a casa, io suonavo la chitarra e Filippo ascoltava. Stavo cantando una canzone in spagnolo che parlava di cambiamenti, e lui ha capito subito cosa sarebbe venuto dopo. Poi gli dissi: “Voglio smettere. Voglio fare il musicista. È una decisione già presa”. E mi rispose: “Ma tu sei pazzo! Dai ripensaci e mi chiami domani”. Questa situazione andò avanti per una settimana, poi mi ha capito”.
Dalla depressione al Mondiale, grazie a uno sciamano
Il post-carriera da calciatore non è stato facile. Senza la routine degli allenamenti e delle partite, Juan Antonio è entrato nel tunnel della depressione, per poi uscirne dopo due anni grazie alla musica, ma soprattutto a due persone: Emanuele Arioli, psicologo di Bergamo che è amico del Papu Gomez, e a uno sciamano. “Un mio amico mi ha detto di andare da lui, quindi sono andato nella sua casa in campagna per incontrarlo. Per questo, una delle mie canzoni si chiama proprio ‘Lo sciamano’, che racconta della mia esperienza. Lui ti guarda negli occhi, ti dà dei consigli da portare nella tua vita in città per risolvere i problemi. Riesce a capire quando piove nel cuore o quando esce il sole, tristezza e felicità. Un’esperienza molto bella, difficile da descrivere se non la vivi”.
Con i risparmi, da alcuni anni Juan Antonio ha fondato Francia 98, una band con suo fratello e suo cugino. “Suoniamo musica popolare, somiglia un po’ al pop e al rock. L’ispirazione non è il ritmo, ma la canzone, la storia. Quello in Francia è stato il primo Mondiale che ho vissuto davvero. Avevo dieci anni e ho capito cosa fosse una Coppa del Mondo. Facevo l’album delle figurine, guardavo le partite con la mia famiglia, tra i ricordi che ho c’è un gol di Zanetti all’Inghilterra, che poi ho affrontato da avversario e conosciuto fuori dal campo in Italia”. L’ultima canzone prodotta è una rivisitazione di Un’estate italiana, brano iconico di Italia ’90. “Si chiama ‘Una aventura mas’, un’avventura in più. La mia. Quest’anno c’è il Mondiale e in Argentina resta la canzone più amata di tutte le edizioni, nonostante la finale persa con la Germania. La gente qui impazzisce ogni volta che viene suonata, perché ricorda Diego e la vittoria contro il Brasile con il gol di Caniggia”.
A Maradona lo lega un aneddoto nelle giovanili della Seleccion: “In un pre-partita si è presentato negli spogliatoi e ci ha abbracciati uno a uno, per poi fare un discorso motivazionale. Abbiamo pianto tutti ed è stato un momento bellissimo”. L’Albiceleste è una delle grandi favorite in Qatar, dove spera di andare anche Juan Antonio, ma non come compagno del Papu come qualche anno fa. “Voglio andare al Mondiale per cantare ‘Una aventura mas’, e credo che ce la faremo. Qui c’è una comunità di tifosi argentini che ci sta aiutando e la canzone adesso viene trasmessa sia in radio che in tv. C’è un sacco di gente che la canta e quindi credo che andremo lì per suonare al Fifa Fan Festival”. Mentre l’altro sogno riguarda l’Italia: “Vorrei tornare a Brescia, la mia città italiana preferita, per suonare con il mio gruppo”. Questo sì, che potrebbe essere il lieto fine da film, o magari l’inizio di un’avventura in più.