L’Inghilterra non è solo patria del football, ma anche di una serie di mode e sottoculture legate al calcio. Dal fenomeno degli hooligans, esploso a inizio anni 60, passando a quello dei Casual, che a differenza del primo, è ancora molto attuale e diffuso non solo oltremanica ma in tutta Europa.
La storia del tifo inglese ha una definizione abbastanza chiara: circa 20 anni dopo la fine del secondo dopo guerra, il periodo della ricostruzione e ripresa economica era oramai finito e nelle tasche delle famiglie inglesi iniziò a spuntare qualche sterlina in più. Non solo: con il tempo i mezzi di trasporto iniziarono a migliorare e adattarsi ai tempi moderni e fu cosi molto più semplice per i tifosi seguire la propria squadra in trasferta. Fino a quel momento infatti, le awaydays, ovvero le trasferte, si limitavano essenzialmente agli spostamenti di massa in occasione delle finali delle coppe nazionali a Wembley, ma non c’era traccia di tifosi ospiti durante le partite di campionato.
Se la “guerra” tra mod e rockers, le due sottoculture che negli anni 60 invasero l’Inghilterra, avevano da poco contagiato il calcio e si stavano insediando tra gli spalti degli stadi inglesi, a inizio anni '70 si fece avanti un nuovo movimento che si apprestava a dominare la scena per almeno un decennio: stiamo parlando degli Skinheads.
Il profilo classico di uno Skinheads è questo: capelli rasati, camicia Ben Sherman, jeans Levis e Dr Martens (rigorosamente con la punta di ferro) ai piedi. Ascoltano la musica ska e reggea. Ben presto il loro insediamento sulle gradinate degli impianti inglesi diventa un fenomeno di massa e con loro arriva anche la violenza. C’è però da dire che a quei tempi le misure di sicurezza erano pressoché inesistenti: gli steward dovevano ancora inventarli, il dispiegamento di polizia era minimo e non c’era alcun tipo di controllo su chi entrava e usciva dallo stadio a tal punto che era possibile fare avanti e indietro senza che nessuno ti dicesse nulla. Fortunatamente la politica non entra e non lo farà mai: eccetto qualche gruppo di tifosi di forte stampo nazionalista (vedi Chelsea e Rangers di Glasgow), non si possono definire gli skinheads di destra o di sinistra (almeno nell'ambito calcistico). L’unica piaga dilagante è quella del razzismo, tanto che ai tempi le partite, per i pochissimi giocatori di colore che calcano i terreni inglesi, non sono la cosa più facile del mondo, visti i ripetuti insulti che spesso sfociano in vere e proprie aggressioni fisiche.
Nonostante il razzismo, destinato a scomparire nel giro di 10-15 anni, a metà degli anni 70, con la moda degli Skinheads in pieno sviluppo, nascono le prime firms, ovvero i primi gruppi di tifosi organizzati del tifo d’oltremanica. Dall’Intercity Firm del West Ham alla 6.57 Crew del Portsmouth, passando per gli Headhunters del Chelsea, la Soul Crew del Cardiff o i Bushwhakers del Millwall.
Invasioni di campo, assalti ai pub o ai pullman in trasferta, risse brutali: i gruppi di tifosi per scontrarsi usano qualsiasi pretesto e scuotono pesantemente il tessuto sociale e culturale di tutto il paese. In quegli anni si diffonde addirittura la moda di lasciare dei bigliettini da visita sugli spalti degli avversari appena dopo le risse o gli scontri, fenomeno che però vedrà ben presto una conclusione.
In parallelo alle mode che si sviluppano tra i tifosi, il calcio inglese tra gli anni '70 e '80 vive probabilmente uno dei suoi migliori periodi dal punto di vista dei risultati: tra il 1976 e il 1984, grazie a Liverpool (4), Aston Villa (1) e Nottingham Forest (2) l’Inghilterra si aggiudica 7 delle 8 Coppe dei Campioni disputate. Un risultato strabiliante che è però il preludio di una delle pagine più buie del calcio d’oltremanica.
A fine anni '70, i tifosi del Liverpool e i loro gruppi organizzati, sono i primi a viaggiare in giro per l’Europa grazie alla cavalcate europee della propria squadra. Questo permette loro di scontrarsi con altre realtà e altre culture ma anche di dare vita a quella che punta a diventare una delle mode più diffuse di quel tempo e tuttora di grande risalto tra i tifosi delle curve italiane: il fenomeno del Casual.
Secondo Phil Thorton, uno dei maggiori esperti di sottoculture di quel periodo, è proprio nel Merseyside che si sviluppa questo fenomeno: i tifosi del Liverpool, avendo la fortuna di girare l’Europa per la loro squadra possono acquistare (o addirittura rubare) capi firmati di marche che, a causa dello scarso import export del tempo, in Inghilterra erano del tutto sconosciute. Le firme italiane prediligono: Fila, Sergio Tacchini, Ellesse oltre a marche più conosciute come Puma o Adidas. I casual, che si distinguono dalle altre mode proprio per il loro modo di non indossare i colori della propria squadra vestendo capi firmati di tutti i tipi, si diffondono in fretta sul suolo inglese e con il tempo hanno il semplice scopo di mimetizzarsi con i tifosi normali in modo da eludere le scorte o i controlli della polizia e scontrarsi più facilmente con i tifosi avversari.
Il “piano” inizialmente funziona ma con il tempo anche gli organi di sicurezza di adeguano alle mode e vista l’omologazione della maggioranza dei tifosi e la diffusione di capi firmati come Henry Loyds o Stone Island, è ora più facile riconoscere i tifosi vestiti in quella maniera per differirli da quelli “normali”.
Dalla creazione del calcio fino alla diffusione di alcune delle mode più conosciute del mondo: l’Inghilterra, per il calcio, è una fonte inesauribile di spunti, storia e tradizione.
Andrea Pettinello - Il Calcio Inglese