È il 22 febbraio 1981 e a San Siro si gioca Inter-Como. Al 18’ del primo tempo Vierchowod dà un colpo a Oriali, che è costretto a chiedere il cambio. Bersellini, allora allenatore dell’Inter, si guarda attorno. Canuti è indisponibile e il sostituto ideale sarebbe quindi Pancheri, che peraltro si sta già riscaldando. Bersellini, però, vede quel ragazzino baffuto seduto in panchina, guardandolo negli occhi. E alla fine cambia decisione.
“Mi disse di alzarmi e poco dopo mi buttò dentro” raccontava Bergomi alla Gazzetta dello Sport. “Prendemmo subito gol, ma per fortuna alla fine vincemmo noi”. Giuseppe non sa ancora che quel 22 febbraio sarà solo l’inizio di una storia incredibile. Da quel giorno, il diciassettenne conquista un posto da titolare nell’Inter. Un posto che non mollerà per vent’anni.
Campione, ma non solo di precocità
Beppe Bergomi ha sempre mostrato una maturità fuori dal comune, e i motivi possono essere tanti. Innanzitutto, quei grandi baffoni che portava sul volto: “E tu avresti 17 anni? Ma se sembri mio zio…”. Così gli dice Gianpiero Marini, suo ex compagno, quando lo vede la prima volta in allenamento. E così, quello di “Zio”, rimarrà per sempre il suo soprannome.
Ma la maturità di Bergomi non dipendeva solo da un fatto estetico. Arcadio Venturini, che lo allenava nelle giovanili nerazzurre, lo descriveva infatti come una forza della natura, “qualcosa di sconvolgente. Quel ragazzino non era un ragazzino. Giuro che ogni domenica dovevo convincere gli avversari che lui fosse davvero un Allievo. E nessuno mi credeva…”.
Talmente precoce che, a forza di vederlo in campo, già a 27 anni lo consideravano vecchio. Anche perché Beppe, in difesa, sapeva fare bene tutto. Libero, terzino – destro o sinistro, nessuna differenza –, stopper. Marcare l’uomo era il suo pane quotidiano, che in quegli anni lo ha reso uno dei difensori più apprezzati al mondo.
La scomparsa del padre
Ma Beppe, maturo ci è dovuto diventare anche per una tragedia. Quella che ha colto suo papà. Erano legatissimi: lui gli aveva regalato i primi scarpini, lui portava al campo d’allenamento e lui aveva sempre incoraggiato a fare meglio. “La sua morte mi fa ancora soffrire”. Soprattutto perché la notizia gli arriva mentre è a Lipsia, in ritiro con la Nazionale juniores. In quel momento Bergomi ha 16 anni. Il mondo gli crolla addosso, ma la sua forza lo fa diventare anche l’uomo di casa. E in campo dimostrerà tutta questa tenacia.
Quando il Milan gli chiuse la porta
Vent’anni all’Inter, un simbolo. E pensare che, dopo gli inizi alla Settalese, il primo provino lo fece col Milan. Allora era la sua squadra del cuore, “anche se tifavo un po’ loro e un po’ l’Inter”. Tutto filò liscio, tranne le visite mediche: gli trovarono dei reumatismi, e così lo scartarono. Niente Milan quindi, il destino è nerazzurro. A 14 anni ecco infatti la prova con l’Inter e l’accesso nelle giovanili. Da allora, con i rossoneri può esserci solo rivalità. Tanto che nel primo derby giocato segna anche un gol, la rete del 2-2 all’89’ minuto: “Mio fratello Carlo, che era milanista, non mi parlò per giorni”.
Gioie e dolori
Tre Coppe UEFA, una Coppa Italia, una Supercoppa italiana. Ma soprattutto lo Scudetto dei record con Trapattoni e il Mondiale ’82 con Bearzot. Quella Coppa del Mondo che lo ha reso, a 18 anni e 6 mesi, il più giovane italiano a conquistarla. E come: semifinale e finale da titolare, e nel 3-1 contro la Germania ha anche il compito di marcare un certo Rummenigge. Ma per un Mondiale che dà gioia, eccone un altro che porta brutti ricordi. Quello di Italia ’90, che Bergomi gioca in casa e da capitano. Al San Paolo, però, l’Italia si arrende ai rigori contro l’Argentina di Maradona. “Una ancora una ferita aperta. La più grande delusione della mia carriera”.
Sul campionato vinto nell’89, poi, Bergomi ha raccontato a Sky Sport un particolare aneddoto: “La Fiorentina ci eliminò dalla Coppa Italia e Trapattoni fu sommerso dalle critiche. Allora io, Ferri, Zenga, Mandorlini e Beppe Baresi andammo in camera sua per dirgli che eravamo con lui. Il Trap quasi pianse, e da quel momento la squadra si compattò e iniziò la nostra cavalcata”.
Vittorie e sconfitte, gioie e dolori: Beppe Bergomi ne ha passate di ogni genere. Ma la vita gli ha sempre insegnato a rialzarsi. Dalla morte del padre al tetto del mondo, tutto accaduto tra i 16 e i 18 anni. In fondo uno “Zio” così, in campo o fuori, lo vorrebbero avere tutti.