Probabilmente meritava di finire diversamente. Senza la sgommata nervosa della Subaru di Pioli all'ingresso del centro sportivo. Senza i musi lunghi di Chiesa e compagni all'uscita dall'allenamento. Loro che in Stefano avevano un maestro ancora prima che un mister. Un padre più che un allenatore.
Inevitabile dopo quello che si sono trovati a vivere insieme. La squadra più giovane d'Europa da far fiorire. Da spronare nella fatica, da sgridare negli errori. Da sorreggere nelle disgrazie. Come quella del 4 marzo, quando è venuto a mancare il fratello maggiore per lo spogliatoio. Un figlio per l'allenatore.
Davide Astori era sempre il primo a passare davanti all'ufficio di Pioli . Un semplice "Salve mister" che poi sarebbe diventato una mancanza insopportabile. Nello svuotare freneticamente il suo armadietto, probabilmente, Stefano si sarà preso un secondo di tempo per riservare un pensiero al suo vecchio capitano.
Quando lo ricorda ha sempre gli occhi lucidi. Gli stessi con cui avrà salutato i suoi ragazzi nell'ultimo discorso prima di lasciare la Fiorentina con la lettera di dimissioni. Pochi giorni fa li aveva bacchettati. Inaccetabile la sconfitta con il Frosinone: "Questa non è la squadra che conosco io" Aveva detto amaro. Un figlio che delude il padre, si torna sempre lì. Tristezza, non rancore.
Lo stesso sentimento della città nei suoi confronti. Perché anche Pioli è figlio. Di Firenze, dove era già stato da calciatore. Anni di vittorie e dolori. Di amicizie. Di poche passeggiate, perché di tempo proprio non ne aveva. È tornato da adulto, con qualche capello in meno e una faccia scavata dalle fatiche della panchina. In sala stampa ha ritrovato vecchie conoscenze, alle quali ha perfino aperto le porte del centro sportivo.
Una lezione di tattica. Un'occasione per attingere dal pozzo della memoria. Ricordi di un calcio diverso. Di quando Stefano e i suoi compagni arrivavano al centro sportivo a piedi, sommersi dal calore dei tifosi. Di quando si spogliava accanto a Baggio, Batistuta, Rui Costa e Dunga. Campioni molto diversi dai suoi ragazzi, che forse un giorno lo diventeranno.
Tristezza per il suo addio, dunque. Più di quel filo di rabbia per ciò che poteva essere ed invece non è stato. Di quelle vittorie che potevano essere di più o del tridente Pjaca-Simeone-Chiesa che non è mai decollato. Poteva finire diversamente da un Pioli che "fugge" dal suo appartamento a due passi da Piazza della Libertà. Con gli occhiali scuri a coprire occhi furiosi e un cappello per difendersi dal sole.
Poteva finire, chissà, con una Coppa Italia. Quel trofreo che quattro anni fa sfiorò soltanto. Matri glielo portò via, lui poteva riagguntarlo con la Fiorentina. Con i suoi ragazzi, che invece adesso ci proveranno con un altro allenatore. Pioli tiferà per loro, anche se da lontano. Ma poco conta, perché "Le avventure finiscono, le emozioni rimangono forti e presenti dentro tutti noi" Per dirla con le sue parole. Una storia che ha trasceso il calcio, che è andata oltre i risultati come raramente si vede. Questa, forse, è stata la vittoria più bella di Stefano Pioli.