Eriksson: “Meritavamo di più, quella Lazio era la squadra più forte che ho allenato”
Una valanga di ricordi quella di Sven-Göran Eriksson, intervistato a #CasaSkySport da Stefano De Grandis e Luca Marchegiani. Svedese di nascita ma romano di adozione, sponda laziale ovviamente. Con lui la Lazio infranse parecchi record e tornò ad essere campione d'Italia per la seconda volta, nel 2000, superando la Juventus al fotofinish. "Lo ricorderò per sempre, stupendo, è sempre così quando una squadra che non è Inter, Juve o Milan vince lo scudetto. Forse meritavamo anche l'anno prima, era la squadra più forte che abbia mai allenato. Mentre aspettavo il risultato di Perugia-Juventus, -fondamentale per aggiudicare lo scudetto ai biancocelesti- vedevo che ognuno aveva reazioni differenti. Alcuni non si muovevano, io camminavo, non riuscivo a stare fermo. Ero nervoso, non potevo fare niente, solo aspettare e sperare. Alla fine fu grande gioia. Si poteva vincere di più, ma in tre anni abbiamo conquistato 7 titoli. Si poteva anche perdere di più".
L'anno successivo, invece, lo scudetto andò alla Roma. "Forse avevamo vinto tanto. Mi sentivo un po' colpevole perché la chiamata della nazionale inglese ha un po' smosso l'ambiente. In parte è colpa mia, lo sentivo, e per questo decisi di andare via, era meglio per la Lazio. Forse ho sbagliato. Ma difficile dire no all'Inghilterra". Un allenatore vincente capace di ottenere il double in tre campionati differenti: in Italia, Portogallo e Svezia. Ha condotto la Lazio alla vittoria in Coppa delle Coppe e Supercoppa UEFA (perdendo anche una finale di Coppa UEFA). Prima del suo arrivo la società non aveva mai disputato una finale europea.
La Lazio dei sogni
Momenti di difficoltà superati con un segreto confidato in diretta da Marchegiani. "Mai far perdere la fiducia e donare tranquillità". E sul suo ex portiere, Eriksson, riserva parole d'amore. "Luca era un grande portiere, mai fatto partite brutte o creato un caso, però devo dire che tutti quei giocatori erano grandi campioni e professionisti, hanno fatto un gran lavoro partito anni prima. Quando sono arrivato la Lazio era già competitiva, poi è migliorata con il lavoro e gli acquisti. Erano fortissimi mentalmente, dovevano vincere sempre. Per un allenatore è un sogno".
La sensazione era quella di essere una squadra vincente. "Facevamo sempre scommesse in radio, se vincevamo tornavo ospite la settimana dopo, ero sempre lì". E infatti dalla sua Lazio sono venuti fuori tantissimi allenatori di livello come Mancini, coach della nazionale. "Il grande Mancini, mi aspettavo una carriera del genere per lui. Quando era giocatore era anche allenatore, magazziniere, era tutto. Nesta e Nedved? Altri due campioni. Nesta era giovane e capitano, uno dei più forti del mondo. Nedved un professionista incredibile. Ricordo il primo anno, la stagione era finita e tutti andavano in vacana. Dopo una settimana mi chiamano da Formello dicendomi che c'era un problema e che si voleva ancora allenare. Chiesi spiegazioni e Mancini rispose che aveva avuto una settimana di vacanza e non ne voleva più.
Sono contento anche per la carriera di Mihajlović e Inzaghi, Sinisa aveva una testa forte. Quando lo incontrai era alla Samp in prestito dalla Roma, giocava ala sinistra ma io gli dissi che non era un attaccante ma un difensore. Lui rifiutava e poi da quel ruolo non si è mosso più. Diventò con Nesta la coppia più forte del mondo. Simone Inzaghi, invece, se ha preso solo poco da me, va benissimo. Non pensavo diventasse allenatore, era giovane, sempre allegro e disponibile. Fece tanti gol in poche partite. É una bella sorpresa vederlo allenare. La Lazio è una squadra molto unita grazie a lui".