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Data: 16/12/2023 -

Dalla C austriaca alla Nazionale in sei mesi, lo "spettacolo" di Max Entrup

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La nostra intervista con l'attaccante dell'Hartberg: sei mesi fa era semi-pro in Regionalliga, oggi - a 26 anni - è capocannoniere e sogna in grande
La nostra intervista con l'attaccante dell'Hartberg: sei mesi fa era semi-pro in Regionalliga, oggi - a 26 anni - è capocannoniere e sogna in grande

In Austria c’è un attaccante che in sei mesi è passato da giocare in terza divisione a essere capocannoniere della Bundesliga. Gioca all’Hartberg e si chiama Maximilian Entrup. La sua storia è una montagna russa: a diciannove anni ha assaggiato la vetta con il Rapid Vienna. Era considerato uno dei migliori talenti del paese, ma i tifosi hanno contestato il suo acquisto per il passato in un fan club dell’Austria Wien – gli storici rivali. Quindi, dopo solo 18 minuti in biancoverde è stato ceduto in prestito ed è ripartito dal basso. Seconda e poi terza divisione. Oggi ha ventisei anni ed è tornato al top: in stagione ha segnato 11 gol in 14 partite e ha da poco esordito in Nazionale. Emozioni forti, che racconta a Gianlucadimarzio.com.

 

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Al telefono Entrup risponde puntuale e col sorriso. Lasciamo che sia lui a farci entrare nel suo mondo: “E’ un bel momento: quando faccio gol sto bene. Sono felice. Il mio è un viaggio spettacolare: sono caduto e mi sono rialzato. Ho avuto anni bui, tra infortuni e momenti no. Tanti si erano dimenticati del mio talento, ma io ho sempre creduto in me stesso e ora sono tornato: sapevo di avere dentro qualcosa, aspettavo solo la giusta occasione per dimostrarlo. Credo che la mia storia possa essere d’ispirazione per i giovani: se hai pazienza, lavori sodo e continui a provarci, alla fine puoi raggiungere il tuo sogno”.

Questione di mentalità. La stessa che serve a sopportare, a diciannove anni, la contestazione dei tuoi stessi tifosi: “Non è stato un periodo facile: ero giovanissimo e mi ero guadagnato la chiamata di un top club. Continuavo a chiedermi cosa avessi fatto di male, ma non ho mai pensato di lasciare il calcio. Per fortuna ho avuto le persone giuste intorno: una bella famiglia e un mental coach. Ancora oggi parlo con dei professionisti, mi fa bene. Come giocatore, ma anche come persona: la preparazione mentale è importante almeno quanto quella fisica”.

 

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Dopo il Rapid ha deciso di fare un passo indietro: “Sono sceso in seconda e poi in terza serie”. Nel frattempo, ha studiato: “Mi sono laureato in scienze motorie per costruirmi una carriera da insegnante di educazione fisica”. Sul campo, gli infortuni lo hanno frenato. Il ‘vero Entrup’ è tornato la scorsa stagione, al Marchfeld: 21 gol e la chiamata dalla prima serie. “Quando ho firmato per l’Hartberg pensavo di fare panchina e avere qualche chance a partita in corso. Invece, ho segnato nelle prime due partite e non mi sono più fermato”. 11 reti, 3 assist: ha partecipato a 14 gol in altrettante partite. Una volta ogni 78 minuti.

A ventisei anni, questi numeri gli sono valsi la prima convocazione e l’esordio in Nazionale: “Mi sono ritrovato in mezzo a giocatori che avevo visto solo in tv. Campioni come Alaba e Arnautovic… incredibile. Entrando nell’albergo del ritiro ho pensato di chiedere qualche autografo, poi mi sono detto che non era il caso. Mi sentivo come un bambino nel paese dei balocchi. I primi due giorni ho ascoltato tanto e parlato poco. Alaba è stato molto disponibile, subito è venuto da me e mi ha detto: ‘Se hai bisogno sono qui’. Uno spettacolo: lui gioca al Real Madrid, io all’Hartberg”. Una gara in panchina, contro l’Estonia, e poi il debutto contro la Germania: due soli minuti, “ma è stato bellissimo. Se me l’avessero detto sei mesi fa non ci avrei creduto”.

 

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Il ‘sogno’ è un concetto ricorrente nella nostra conversazione. “In primis, il mio sogno è la salute”. Quanto al campo, Entrup ripete spesso: “I’m hungry for more”, “Sono affamato di nuove sfide: o chiudere la stagione da protagonista con l’Hartberg, o, in caso di offerte convincenti, farlo con una nuova squadra”. E allora lo incalziamo: “La Serie A? Mi piacerebbe, la seguo sin da bambino e credo di essere pronto ora. Giocare a San Siro, in mezzo a settantamila persone, sarebbe incredibile. Ma devo tenere i piedi per terra e lavorare sodo”. D’altronde il suo segreto è sempre stato quello.



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