Enfant prodige, figlio d’arte, giovane promessa, simbolo. Ha solo 21 anni, ma di appellativi ne ha già avuti tanti. Lui, Federico Chiesa, non ci pensa. Lavora tutti i giorni per diventare non più il figlio di Enrico, ma solo Federico. Lavora e corre, eccome se corre. E in Coppa Italia contro il Torino ha fatto un altro piccolo passo per uscire da quel nido che da un lato lo può mettere in risalto, ma dall’altro può stargli anche molto stretto.
Le movenze ricordano quelle del papà: il modo di correre, la grinta, la voglia di non perdere mai nessun pallone. E poi i gol, appunto. Oggi ha segnato la sua prima doppietta in carriera per lo 0-2 finale. Un momento che non si dimentica mai, anche perché arrivata negli ultimi minuti di gioco, in una gara molto difficile.
Soprattutto per gli attaccanti. Era Muriel l’osservato speciale, il nuovo che incuriosiva. Era Simeone quello che doveva dare qualcosa per dimostrare di non essersi perso. Ma alla fine è emerso lui: Federico. “Nel secondo tempo ha fatto meglio” ha detto Pioli, che ha confermato la sua crescita. “L’anno scorso in allenamento un po’ si perdeva, ora non più. Va sempre ai mille all’ora: gli dico che deve rendere in campo come in allenamento. Oggi l’ha fatto”.
È lui, Chiesa, l’uomo della giornata. Cattivo quando serve (e qualche fischio dal pubblico di casa è arrivato), concreto, con una falcata che viene da un calcio di un’altra epoca ma che lancia verso il futuro. È rimasto il Federico dei campetti (qui la sua storia). Il modo migliore per potersi regalare delle grandi soddisfazioni. Anche, o soprattutto, come figlio d’arte.