“Old Firm? No, Glasgow Derby”. Tutta l’Irlanda del Celtic
Febbre da Rangers, la Celtic family e un allenatore che alza il boccale al pub con i tifosi. Viaggio nel mondo biancoverde: costola Eire nella Scozia e prossima avversaria della Lazio in Europa League
La meraviglia dell’Irlanda è che anche nel più blando dei mercoledì sera, quando per le strade non c’è anima viva, i pub restano sempre accesi come delle stelle e con almeno una storia da ascoltare. Soprattutto se la cattedrale nel deserto è un Celtic club. “Da 21 anni questo locale è un punto di riferimento per tutti i tifosi biancoverdi. Non è l’unico di Cork, e ce ne sono anche a Dublino e nel resto del paese”. Chi parla è Gerard Mulcahy, proprietario del The Friars Walk Tavern: ci ha portato nel retro del pub, dove schedari e scartoffie si alternano a memorabilia del Celtic, e armato di cartello ‘You’ll never walk alone’ inizia a raccontarci perché i Campioni di Scozia continuano a essere la squadra più tifata…d’Irlanda.
“Nonostante le pay tv!”, sbotta subito lo storico supporter. “La gente è bombardata da marketing e pubblicità: vede fantastici club come il Liverpool, lo United e c’è tutta una struttura dietro che spinge a seguirli. Ma il Celtic è un’altra cosa”. Chiunque direbbe così della propria squadra del cuore. Eppure, passo dopo passo, Gerard riuscirà a farci capire che questa ‘altra cosa’ va davvero al di là di quello comunemente inteso come tifo. Sin dal primo appuntamento. “Lo confesso, da bambino anch’io non ero immune alle influenze della Premier e di mio fratello. Così simpatizzavo Chelsea. Ma quando nel 1981 sono andato al Celtic Park per la prima volta, non mi sono più guardato indietro. Mi fecero sentire così benvenuto, così parte di loro, che il mio cuore mi disse che dovevo essere Celtic e nient’altro. C’era tutta l’irlandesità in quello stadio”.
È il leitmotiv della nostra chiacchierata, ora un ripasso di storia ufficiale ma sempre viva. “È stato un irlandese a fondare il Celtic nel 1888”, ricorda il signor Mulcahy. “All’epoca, la gente da queste parti continuava a emigrare in massa dopo la Great Famine”. Forse l’evento che più di tutti ha segnato la storia del paese: dicono che senza la carestia, oggi l’Irlanda invece di contare 5 milioni di abitanti ne avrebbe 20. “Molti di loro andarono in Scozia, tra cui un fratello marista della contea di Sligo chiamato Brother Walfrid. A Glasgow ha fondato un ente di beneficienza per sfamare i bisognosi, non solo gli immigrati irlandesi ma anche tutti coloro che faticavano a sopravvivere. Era nato il Celtic Football Club”.
Ancora oggi, fuori dall’entrata principale dello stadio ci sono tre statue in bronzo. Quella di Jock Stein, l’allenatore che portò il Celtic allo storico trionfo in Coppa dei Campioni (e al primo triplete di sempre) contro la Grande Inter. Quella di Jimmy Johnstone, in campo nella finale del 1967 per poi venire eletto miglior calciatore della storia del club 35 anni dopo. E quella di Fratello Walfrid. “Il Celtic continua a essere un vero ponte tra Scozia e Irlanda. Quando noi irlandesi andiamo a Glasgow tutti ci vogliono ospitare, offrirci da bere, portarci a cena. L’orgoglio dei tifosi per le loro radici si vede alle partite, quando sventolano il nostro tricolore”. È la base di una delle rivalità più antiche e sentite del calcio: i cattolici biancoverdi, nella Scozia protestante. “E britannica, quando giochiamo contro i Rangers e le loro Union Jack”.
Domenica all’Ibrox Stadium, per la 4^ giornata di Scottish Premiership sarà per la 158esima volta Old… “No!”, ci stoppa immediatamente Gerard. “Non si chiama più Old Firm. I Rangers nel 2012 sono stati messi in liquidazione e ora sono un nuovo club: quando qualcosa fallisce, è andata per sempre. Magari si chiamano ancora Rangers, ma per i tifosi del Celtic l’Old Firm non esiste più. Ora si dice Glasgow Derby”. Formalità necessaria, ma la sostanza non cambia. “L’atmosfera di questa partita è qualcosa di differente, vincere un derby poi ha sempre un sapore fantastico. Se mi è dispiaciuto non giocarlo per tre anni?”. Ride, poi ritrova l’aplomb. “I Rangers sono i nostri più grandi rivali, hanno una tifoseria importante e dobbiamo rispettarli. Ma essere triste per le loro difficoltà, no. Al massimo per i miei affari: quando è tempo di derby qui non ci si riesce a muovere dal pienone. Vedrete domani”.
A Cork tutti sanno che The Friars Walk Tavern è il posto dove andare. “Perché per di qua sono passate tante vecchie glorie del Celtic. Charlie Shaw, Billy McNeil, Bobby Lennox e altri ragazzi del ‘67”, racconta orgoglioso il proprietario. E subito ci mostra ‘la parete degli onori’, costellata di cimeli e maglie firmate. C’è anche quella di Rod Stewart, icona del rock e tifosissimo biancoverde che ha scelto il pub di Gerard per festeggiare l’ultimo treble lo scorso 26 maggio. “Ma ho dovuto servire anche tifosi del WBA, Ipswich Town, Newcastle”. Adesso il tono è sconsolato. “Qui tutti vanno matti per il calcio. Solo che chi non tifa Celtic guarda all’Inghilterra”.
Anche perché le soddisfazioni che arrivano dai club irlandesi sono poche: basti pensare che i campioni nazionali del Dundalk sono usciti al terzo turno preliminare di Europa League per mano dello Slovan Bratislava. “Perché il nostro calcio fa fatica? Se sei abbastanza bravo e giochi per il Cork City o gli Shamrock Rovers, 99 su 100 arriverà una squadra inglese a portarti via. Tutta questione di soldi, e la Federazione finora non è riuscita a farci niente”.
Il meccanismo tipo di un campionato satellite, Gerard l’ha avuto sotto casa. “Sean Maguire era un grandissimo attaccante del Cork City: segnava un gol a partita, qui tutti lo adoravano. Poi due anni fa ha firmato col il Preston North End, in Championship”. Diventando così uno dei tanti, ma i 50mila euro a stagione si sono moltiplicati per dieci. Difficile dire no. “Per me le cifre del calcio moderno sono ridicole, e la Football Association è un altro pianeta. Oggi chi vince la Serie B inglese prende 100 milioni di sterline, la nostra squadra 3 come premio scudetto in Scozia. Quindi rispetto gli altri tifosi che vengono nel mio locale, ma non sentiranno mai quello che si prova nella famiglia Celtic anche qui in Irlanda”.
Al di là di origini e cultura in comune: il signor Mulcahy ce lo spiega con un aneddoto. “Un giorno si aprì la porta del pub ed entrò Neil Lennon”. L’allenatore del Celtic in persona. “Come va Ger? Sono a Cork per qualche giorno, non potevo non passare per di qua”. Immaginatevi la faccia del barista. “Ci eravamo già incontrati in passato, ma mai a casa mia. E rimase al Friars Walk per sei, sette ore, a bere e a scherzare in mezzo ai tifosi che via via arrivavano sempre di più. È stato incredibile. Una cosa che non potrebbe mai capitare con nessun’altra squadra: questo è il Celtic”. Concetto chiaro. “La prima cosa che faccio quando viaggio è cercare un pub, Celtic club e mi sento subito a casa. Quindi faccio in modo che anche il mio sia così, per tutti coloro che vengono dalla Scozia o da qualunque parte del mondo per vedere la partita”.
Una condivisione continua, dai tempi di Fratello Walfrid, che Gerard si prepara a rivivere per la stagione appena iniziata. “Sarà dura domani sul campo dei Rangers. È vero, noi siamo in Europa League ma essere usciti così dalla Champions brucia ancora”. Assurdo, il 3-4 con cui il Cluj ha sbancato Glasgow nel penultimo turno preliminare. “Lì Neil purtroppo ha sbagliato qualcosa con i cambi. E continuiamo ad avere una difesa ballerina…”. La Lazio prende appunti fino all’Irlanda. Dove il Celtic Park si allunga, come un campo di quadrifogli, un pub dopo l’altro.