Calcio e salute mentale, la psicologa Vitale: “Sensibilità e accettazione delle fragilità mentali, il percorso è ancora lungo”
Dal lavoro con i ragazzi nerazzurri al tabù dei problemi psicologici in questo sport: l’intervista all’esperta
Come si riesce a tutelare e coltivare l’io nella società della performance? O meglio, come si impara a essere all’interno di una realtà che ti chiede di saper fare? Interrogativi che interessano e impattano la quotidianità di ognuno di noi, nella vita e, ancor di più, nello sport. Ecco che, in questa ricerca di equilibri, la mente gioca un ruolo fondamentale. La mente e tutto ciò che riguarda l’universo psicologico di una persona e di un giocatore. A maggior ragione, se si è attori di un contesto sociale come quello attuale.
Un contesto sociale “liquido” che, per sua natura, esalta la perfezione e si muove sui binari dell’immediatezza, senza lasciare spazio a incertezze, pause e fragilità. Debolezze di cui, però, è esso stesso causa. Dinamiche che si riflettono in modo trasversale nel e sul calcio. Temi che hanno iniziato ad affacciarsi e ad assumere una propria centralità. “Anche se il percorso da fare è ancora lungo”. A parlare è Alessandra Vitale, psicologa del settore giovanile dell’Inter. Siamo andati a trovarla per aiutarci a entrare in quello che è il rapporto tra la psicologia e questo sport. Dalle parole di Gosens alla testimonianza di Alphonso Davies e Iniesta, il mondo del calcio ha iniziato a conoscere la salute mentale. Le aspettative, i social, la consapevolezza e le fragilità: quanto conta la mente nei giovani giocatori. Un confronto sulla nostra società, su questo sport e, almeno in parte, su di noi.
La psicologia nel settore giovanile
“Faccio parte di un progetto che è volto a supportare i ragazzi nel loro percorso di crescita, valorizzando i loro aspetti più emotivi e personali. Un percorso incentrato sulla persona, sganciato dal calciatore”. Una decisione del club nerazzurro che nasce dall’esigenza di accompagnare la formazione del giocatore in tutte le sue componenti, fisica, di campo, mentale. Questo “perché si è visto che in passato in assenza di questi interventi si corre il pericolo di crolli dovuti a carriere interrotte o mai iniziate”. Un percorso che diventa “un’esperienza di vita che può essere utile e formativa anche per quello che c’è fuori, a prescindere dal calcio”. In una società così dispersiva e liquida “c’è poco spazio per le paure, i periodi di difficoltà”. A maggior ragione in un mondo come quello del calcio. Performance, aspettative e pressioni: “O dimostri o non ti aspettano. Il tempo è poco”. Ecco che essere giocatori oggi significa sapersi rapportare con tutto questo. E per poterlo fare diviene fondamentale coltivare e comprendere l’io interiore. Conoscere e conoscersi.
Conoscere le emozioni
“Comprendere chi si è e quelle che sono le proprie qualità. Se non ci si concentra su questo, si rischia di lasciare poco spazio ai sentimenti e alle emozioni”. Un percorso graduale. Il settore giovanile come punto di partenza. Tanti i fattori che circondano un ragazzo nel suo strutturarsi come calciatore. Un esempio? L’ambiente che ti circonda: “Ci sono famiglie che sacrificano molto per permettere ai figli di inseguire questo sogno: responsabilità e pressioni ulteriori per un ragazzo. Oppure il peso di padri che sono stati giocatori”. Un progetto che va verso la ricerca del “riconoscersi per quelli che sono davvero. A questo si collega il lavoro sul proprio vissuto, sulla gestione delle emozioni, dell’ansia e dello stress. Tutte componenti non scontate quando si è così giovani”. Convivere con il frenetico e istantaneo alternarsi dell’esaltazione e della delusione. L’avere tutto e l’essere nessuno. Mantenere un equilibrio in un sistema i cui paradigmi corrono in direzione opposta.
Domande e incertezze: l’incognita del futuro
Le domande sul futuro, il timore di non farcela, le pressioni esterne. Le regole da rispettare, i sacrifici e le rinunce, le scelte da compiere. I pensieri viaggiano, inseguendosi a volte in modo incessante. E fare ordine, capendo cosa sia reale e giusto e cosa no, diventa complicato: “Comprendere e comprendersi non è scontato, soprattutto a quell’età. I ragazzi convivono con un senso di incertezza. Ansia e domande circa il loro divenire. Fuori devono dimostrarsi forti e sicuri, quello con noi può essere uno spazio per aprirsi, sfogarsi e riconoscere le proprie paure. Spesso sono lontano dalla famiglia e dagli amici, perdono riferimenti e persone con cui parlare e confrontarsi. Non è facile coltivare nuovi rapporti. Come non è facile vedere i coetanei vivere determinate esperienze che tu non puoi fare. Situazioni che possono creare frustrazione”. Vissuti comuni per i calciatori, come dimostra la testimonianza del terzino del Bayern Alphonso Davies: “Dopo l’allenamento non c’è niente da fare. Dal momento che non ho una famiglia e la mia ragazza non vive con me, sono solo. Probabilmente ho cinque amici. Sono un perdente popolare”. Ecco che la figura dello psicologo dello sport svolge un ruolo fondamentale per aiutare i ragazzi nella formazione di una loro identità e stabilità.
Essere psicologo dello sport
“A differenza di adulti agonisti con cui ci sono percorsi psicologici specifici, nel caso delle giovanili non c’è una struttura. Siamo un team di psicologi che entra in relazione con i ragazzi. Condividiamo con loro del tempo di vita quotidiana e ci entriamo in relazione. Un modo per osservarli, conoscersi, crearci un rapporto. Poi ci si prende dei momenti specifici in cui si fanno colloqui più strutturati”. Un percorso che coinvolge anche “allenatori e famiglie. Un progetto pensato per l’adolescente in quanto tale. Si pone in essere una riflessione su chi si è, come si sta, quali strategie si possono utilizzare nei momenti di difficoltà”. Riflessioni e strategie: “Forniamo delle tecniche per gestire i momenti di stress, controllare i pensieri, per esempio dopo aver sbagliato un gol durante una partita”. Porsi degli obiettivi da raggiungere, ma anche “sviluppare una buona flessibilità cognitiva. Una capacità di problem solving su cui lavoriamo in termini più generali, ma che è utile e necessaria anche nel calcio”. Un altro campo d’intervento “è poi quello educativo, dove andiamo ad aiutarli nella presa di coscienza circa le proprie azioni e le relative conseguenze. Il tutto relazionato anche al loro rappresentare un club come l’Inter”.
Equilibri
Dinamiche, pensieri e variabili che ruotano intorno a quel delicato e precario equilibrio tra l’essere e il dover essere, tra l’io e le performance richieste sia nel calcio che nella quotidianità sociale. Un equilibrio difficile da trovare e mantenere e che vede mutare spesso le sue condizioni: “Le figure dello psicologo dello sport sono importanti per poter gestire questa pressione e rispondere a determinati standard. In età giovanile avere persone che ti insegnano fin da subito a farlo è importante. L’obiettivo è riuscire a mantenere quell’equilibrio: rispondere al bisogno di performance, senza dimenticare però la persona e il suo benessere. Riportare i ragazzi a un piano più interiore. Per esempio, ci sono stati dei casi di ragazzi in campo bloccati perché pensavano tutto il tempo al calcio. In quelle situazioni, si cerca di aiutarli a relativizzare le cose. In psicologia l’autostima di una persona la si immagina come un cerchio diviso in fette, dove ognuna rappresenta un interesse o parte della vita. Un fallimento in uno di quei campi può essere bilanciato dagli altri. Se il calcio diventa invece totalizzante si entra in un circolo vizioso”. Un lavoro anche preventivo: “Da una parte sviluppare una consapevolezza sul cosa significhi salute mentale, concedersi momenti di pausa o saper adottare strategie come la mindfulness. Dall’altro si vuole anche insegnare uno stile di vita sano, dall’alimentazione al riposo, facendo comprendere il motivo e l’importanza di questo. Comprendere per viverlo e accettarlo, senza imporlo. Educare a un certo stile di vita, prendersi cura di sé, conoscersi e capire quando ci possano essere dei segnali di malessere”.
Calcio e salute mentale
Ancora lungo il percorso che deve essere fatto nel complicato rapporto tra il calcio e il tema della salute mentale. Diversi i passi in avanti fatti rispetto al passato. Tanti quelli che dovranno essere ancora compiuti in termini di sensibilità, accettazione e consapevolezza: “Il calcio è un mondo in cui la fragilità, gli aspetti di debolezza sono molto oscurati. Ultimamente ci sono degli sportivi che hanno fatto emergere e parlato delle loro esperienze. Però è un ambiente che fatica ad accettare e metabolizzare la fragilità. Per questo è importante che ci sia la figura dello psicologo dello sport. Piano piano sta prendendo piede, ma è più facile in club che hanno una grande forza economica per investirci”. Difficoltà che si riflettono, di conseguenza, nei calciatori: “Chi decide di affrontare percorsi con psicologi fatica a dirlo e a parlarne. Sebbene sia un atto di coraggio e maturità, dall’esterno è vissuto una dimostrazione di debolezza. Spesso i calciatori non possono permettersi di mostrarsi vulnerabili. Ma le pressioni sono tante e le difficoltà sul piano mentale per i calciatori esistono. Non c’è però la libertà di esprimerle. Un mondo che ancora fa fatica ad accettarle, comprenderle e porsi in una posizione di ascolto e aiuto. La figura dello psicologo dello sport e la sua introduzione nei club rappresenta un passo importante in tal senso. La salute mentale è un argomento troppo importante in un calciatore e, in generale, in una persona e va tutelata”. Riscoprirsi fragili per riscoprirsi, semplicemente, esseri umani.
“Gli psicologi e l’assistenza psicologica sono ancora un argomento tabù, non solo nel calcio ma anche nella società in generale. Non è vista come una cosa che può aiutarti a crescere come personalità e come persona (…). Dobbiamo raggiungere un punto in cui i problemi mentali verranno classificati come problemi reali”, raccontava Robin Gosens in una intervista alla Uefa. Calcio, salute psicologica e società: il percorso è ancora lungo e parlarne diventa fondamentale.
A cura di Nicolò Franceschin