Ad Abuja, capitale della Nigeria, fa talmente caldo che gli allenamenti si fanno “alle 6,30 ed alle 16”. Doppia seduta, ogni giorno. Calci al pallone all’alba o al tramonto, mai sotto il sole. Rigorosamente vietato anche a chi ci è abituato più di noi. Prima e dopo gli allenamenti, invece, tutti dentro il college: si studia, si mangia, si dorme e si vive tutti insieme. Benvenuti alla Football Accademy, la scuola calcio che Gabriele Volpi, presidente dello Spezia, ha aperto nella capitale nigeriana. “Un modo per restituire a quella terra le opportunità economiche che gli ha dato, unendolo alla passione per il calcio” racconta Renzo Gobbo, una delle menti italiane che Volpi ha scelto per crescere i diamanti calcistici africani. I suoi ragazzi, alla prima partecipazione al Torneo di Viareggio, sono usciti fra gli applausi di tutto lo stadio a Seravezza, un piccolo grande paese nascosto dietro Forte dei Marmi. Qua l’odore del mare non arriva, ma una passeggiata prima di ripartire non se la saranno certo fatta sfuggire i giovani talenti dell’Abuja che oggi stavano battendo la Fiorentina fino a 20 secondi dalla fine e che escono dal Viareggio senza rimpianti e con tanti sorrisi. “Noi abbiamo fatto questo torneo solo per fare esperienza e misurarci”, racconta Renzo Gobbo a GianlucaDiMarzio.com. “Sappiamo che giochiamo con dei 2000 contro ’96 e ’97, è normale andare un po’ in difficoltà. L’inesperienza c’è, per questo bisogna provare e riprovare per dare a questi ragazzi un bagaglio di esperienza”. Il trolley con cui i ragazzi escono dallo stadio per tornare sul pullman che li accompagnerà al volo per la loro Africa, infatti, è assolutamente pieno: di sogni, di speranze, di ricordi e di sorrisi targati Italia. La terra che sognano, il lavoro che sognano: diventare calciatori. “Se hanno del talento cerchiamo di svilupparlo, ci sono altri quattro allenatori UEFAPro insieme a me. Però l’Abuja è soprattutto un progetto sociale: li prendiamo a 14/15 anni, spesso li togliamo dalla strada. Molti sono orfani, altri hanno perso il padre o la madre. Con noi studiano, dormono, mangiano. Diventa davvero una famiglia: per loro sei un allenatore, un papà… forse anche qualcosa in più. Siamo l’unica accademia gratuita di tutta la Nigeria, da noi non si paga niente. Anche perché, spesso, questi ragazzi non hanno niente. Però hanno entusiasmo e motivazione: sanno che può essere la svolta della loro vita”.
Mentre Gobbo parla, gli occhi si illuminano. Quasi commossi, trasmettono emozione e positività, amore e passione. “Ah, io me ne sono innamorato… Sono lì da tre anni e mezzo: è un progetto di una bellezza unica”. Cercate conferme? Basta guardare i sorrisi dei ragazzi che escono dallo spogliatoio. Lo abbracciano, qualcuno è pure deluso da quel maledetto pareggio nel finale. “Dai, dai, dai: good work”: si parla un po’ italiano ed un po’ inglese, tanto il calcio non ha lingua e ci si capisce. “Qualcuno di loro non aveva mai preso un aereo!” confessa Renzo. Allenatore d’altri tempi: 55 anni appena compiuti, una carriera fra Como, Catanzaro, Messina e Venezia prima e poi in panchina in giro per l’Italia. Davanti ai suoi occhi, e nel suo spogliatoio in Nigeria, sono passati Nura e Sadiq: Abuja-Spezia-Roma, fino all’esordio in A per Umar. “Che ricordi… sono fortissimi”, orgoglio di chi li ha lanciati. “Si crea un rapporto bellissimo, che resta. E’ stato così anche per loro”. E quel percorso, adesso, sognano di farlo ragazzi come loro. Chissà che un giorno, in quella Forte dei Marmi oggi così vicina, nel mercato del domani non si parli di loro. Talenti forti, appassionati, pieni di sogni e speranze. Con vite difficili ed un trolley pieno di voglia, anche grazie ad un allenatore e ad un uomo così. Che oggi stava battendo la Fiorentina di un Guidi che alla fine li applaude e scommette su di loro, che è uscito fra gli abbracci dei suoi. “Possiamo fare una foto?”, “certo” risponde Renzo Gobbo. Prende uno dei suoi ragazzi e lo tiene stretto: “cheese”, scatto. “Good luck”, per tutto.
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