La nostra lunga chiacchierata con Alfred Gomis è iniziata così: - “Ciao Alfred, come stai?” -”Tutto bene, grazie... Cioè oddio, potrebbe andare meglio”. A causa di una frattura a un dito della mano sinistra, Gomis sarà lontano dai campi per quasi due mesi. Ma il peggio è scongiurato: “Non mi dovrò operare e questo è importante. Ho messo un tutore e seguirò il percorso riabilitativo che spero durerà il meno possibile. Tempi precisi di recupero non ne ho, ma spero di poter rientrare entro la fine della stagione”.
La nuova vita a Rennes
Lo avevamo 'lasciato' nel 2019. Dopo 46 partite in Serie A con la maglia della SPAL, Gomis era partito per la Francia. Prima a Digione, poi a Rennes. Dove la sua carriera è cambiata: “Stiamo facendo veramente molto bene e siamo contentissimi dei risultati (sono terzi in Ligue 1, dietro a Psg e Olympique Marsiglia, ndr). Siamo un gruppo solido e unito: c'è una bella armonia”. Il Rennes è una squadra in grande crescita, supportata da una società solidissima e da dirigenti e staff tecnici competenti che permettono al club di guardare sempre più in alto, con grande ambizione.
L'anno scorso è arrivata la prima storica qualificazione in Champions League, quest'anno al Rohazon Park il Psg di Messi, Neymar e Mbappé è uscito sconfitto 2-0 (con Gomis in porta, ovviamente). Segno che Rennes è una realtà da tenere ben d'occhio in futuro: “Stiamo cercando di crescere in maniera ragionata e sensata, senza bruciare le tappe né facendo investimenti abnormi tanto per farli. Facciamo campagne acquisti elevate, per giocatori che dimostrano di non essere prime donne ma ragazzi in grado di poter aiutare il club a crescere. Negli ultimi quattro anni ci siamo sempre qualificati in Europa: non è più una casualità”. Dalla squadra ai singoli. Un nome su tutti da segnare, su consiglio di Alfred: “Kamaldeen Sulemana. È giovane: penso che in Italia non lo conoscano molto, ma è fortissimo”.
“In Italia mi è sempre stata data fiducia a metà”
Riavvolgiamo il nastro. Fine anni Novanta. Alfred è un bambino che vive a Cuneo con la famiglia e il suo hobby preferito è il calcio. Si diverte, ma non tra i pali: “Facevo l'attaccante. Poi al Cuneo, la squadra in cui sono cresciuto, mancava un portiere e chiesero a me di andare in porta. Facevo un tempo da attaccante e un tempo da portiere. Tra i pali non mi divertivo tanto, devo dire la verità. Poi il Torino mi vide, mi chiamò per fare il provino, ma come portiere. Io volevo giocare in attacco, ma alla fine quella fu la scelta giusta, grazie al cielo”.
Nel settore giovanile del Toro è cresciuto ma non ha mai trovato spazio in prima squadra. Tanti i prestiti in giro per l'Italia: Crotone, Avellino, Cesena, Bologna, Salernitana, SPAL (dove poi è stato riscattato). Ma la fiamma con il calcio italiano alla fine non è mai scattata: “Faccio il mea culpa perché sicuramente avrei potuto fare di più. Però diciamo che mi è sempre stata data fiducia a metà. Era sempre un 'ni' nei miei confronti, e lo sentivo. A un certo punto avevo capito che le cose non sarebbero cambiate e decisi di andarmene. Non mi piaceva più quella situazione: tutti dicevano 'Sì è molto bravo', ma non volevo diventare come la bella che piace a tutti e poi nessuno se la prende. Ho detto: 'Ok, se è così vado all'estero e farò vedere a tutti che si sbagliavano'. Questo ho fatto”.
“Da quando me ne sono andato...”
Gomis si apre, commentando qualche pregiudizio di troppo percepito: “Ero l'unico portiere africano. La cosa che mi fece 'ridere' fu che quando decisi di giocare con il Senegal e non con la nazionale italiana, con cui avevo giocato nelle giovanili, alcuni giornali smisero di citarmi come portiere italiano, ma diventai solo 'l'africano'. Ma io ho il passaporto anche italiano eh, non potevano essere cambiate le cose solo perché non avevo scelto l'Italia...”. E ancora: “Sentivo mille volte le solite battute: 'Non si è mai visto un portiere nero'. Poi se guardi, da quando me ne sono andato sono iniziati ad arrivare i primi portieri di colore. C'è Maignan e ora arriverà Onana. Segno che le mentalità delle società stanno cambiando, per fortuna. Prima non so quanto si sarebbe potuto vedere Milan e Inter prendere un portiere africano o di colore. Vent'anni fa ti avrebbero detto che una roba del genere non stava né in cielo né in terra".
“In Francia mentalità diversa”
In Francia ha potuto trovare una mentalità più aperta e un posto in cui potersi esprimere senza troppi pregiudizi: “In Italia se qualcuno vede per strada una persona di colore gli fa addirittura effetto, in Francia è la normalità. Lo stesso è negli stadi. Faccio un esempio: su quarantamila persone, vedere cinquemila o diecimila africani non sorprenderebbe. Quindi è più difficile che uno stupido sugli spalti insulti un giocatore di colore, perché magari quello spettatore si trova un africano accanto, o al lavoro tutti i giorni, come amico ecc. È abitudine e mentalità diversa dalla nostra, ma da decenni ormai”. E a proposito di mentalità e apertura, Gomis ha ancora un consiglio da dare: “Leggere libri. Per me è una passione. Ho iniziato quando andavo a scuola e ci facevano leggere libri a casa per discuterne poi in classe. A me questo piaceva tantissimo perché sono sempre stato un ragazzo curioso e ho imparato subito che leggendo si possono conoscere tantissime cose, scoprirne nuove, aprire la mente. Questo può fare la differenza nel mondo”.
“Che gioia la Coppa d'Africa”
Arriviamo ora alla scelta della nazionale in cui giocare. Tra l'Italia e il Senegal, Gomis ha scelto il Paese delle sue origini. Durante un viaggio alla scoperta della sua patria natale (documentato con foto e video montati da lui stesso), Alfred rimase colpito dal maltrattamento di alcuni schiavi e dalle condizioni in cui vivevano alcuni senegalesi: “Così ho scoperto il mio Paese. In quel momento presi la decisione di giocare con il Senegal e credo sia stata una delle migliori scelte che abbia mai fatto”. E cinque anni dopo l'esordio, è arrivata la vittoria più importante: la Coppa d'Africa, vinta lo scorso gennaio: “Una gioia immensa, anche se credo che noi calciatori non ci siamo ancora resi conto di quel che abbiamo fatto, perché non abbiamo avuto tempo di fermarci. Giocando a gennaio e non in estate, i nostri club ci aspettavano subito e siamo dovuti ripartire senza poter fare grossi festeggiamenti, perciò capiremo forse quest'estate o forse i prossimi anni quello che abbiamo fatto”.
La festa per la vittoria della Coppa d'Africa
Per capire l'importanza dell'impresa, basterà rivedere le immagini della folla in festa per le vie delle città senegalesi: “La gente era impazzita, tutta per strada... alcuni si aggrappavano ai lampioni. È stato allucinante. Per la gente del Senegal è stata una liberazione: aspettavamo da tanti anni di vincere la prima coppa nella nostra storia. L'avevamo sfiorata nel 2019 (persa in finale, ndr): la gente pensava anche che non saremmo mai stati in grado di vincere nulla, come se fosse una maledizione. Invece ce l'abbiamo fatta: è stata festa grande. Un momento indimenticabile”. È stato questo l'ultimo capitolo del lungo 'libro' di Alfred Gomis, pieno di racconti e storie vere. Magari stavolta da scrivere.