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“Inter, hai fatto un affare!”. Reja racconta Candreva: “Veloce, tecnico, completo. Ecco il mio Antonio, l’ultima ala destra”


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Lo chiamavano “er puzza” perché si “incazzava” di continuo: “Volevo vincere sempre”. Ora si arrabbia meno, ma corre di più. Perché è l’ultima ala destra del mondo pallonaro. Antonio Candreva, eccolo qui. Con l’87 e un sorriso grande grande. Roba che neanche i bambini al parco giochi. Inter, punto d’arrivo. “Emozione grandissima, era quello che volevo”. Anche se il primo “sogno” era tutt’altro: “Volevo diventare un elettricista”.

Nulla di fatto, poi. Più cuori accesi che lampioni. “Una fortuna”. Perché da piccolo, Antonio, dribblava birilli in campetti di terra, correndo veloce. E rischiando molto: “Un giorno uscì di casa per rincorrere la palla – racconta la mamma – per poco non finì sotto una macchina. Mi spaventai a morte!”. Ricordi di Tor de’ Cenci, fotogrammi. Attimi di quando Antonio non era ancora “San” e rompeva le “plafoniere delle lampade”. Roma, periferia. Iniziò alla Lodigiani. “Si vedeva che sarebbe arrivato in alto”.


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Poi Terni, il professionismo e via, un lungo peregrinare. Fino a Cesena. Senza meta, senza fiducia: “Non riusciva ad emergere, non capivo perché”. Infine, nel gennaio 2012, il ritorno a Roma. Alla Lazio:Storia particolare la sua, ora vi racconto…”. Start. Parla Edy Reja, l’allenatore con cui Candreva è diventato “San”. E infatti: “Spesso mi cita in qualche intervista – rivela in esclusiva su GianlucaDiMarzio.com – mi deve moltissimo”. Prima trequartista, poco o nulla. Poi la metamorfosi, tutto.

Nazionale, Mondiale, Europeo, l’Inter: “Mi piace giocare coi 3 davanti, cerco spesso esterni così. E come Antonio ce ne sono pochi. Inizialmente non voleva giocare a destra, poi ha capito che poteva essere il suo ruolo”. Paragoni di carriera: “E’ successa la stessa cosa con Maxi Moralez all’Atalanta, l’ho fatto giocare un po’ più a destra piuttosto che dietro le punte. Sono stati entrambi determinanti…”. Soprattutto Candreva, accolto da una bordata di fischi per via dei suo trascorsi da giallorosso: “Aveva un passato romanista…”. Colpa di alcune dichiarazioni ai tempi del Livorno: “Totti e De Rossi due modelli, due idoli”. Insulti, fischi, striscioni a Formello: “Benvenuto all’Inferno”.


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Candreva stupito: “Provai delusione. All’uscita mi nascosi sul sedile posteriore dell’auto per evitare di essere riconosciuto”. Fino al gol contro il Napoli e all’esultanza sotto la Curva. Pace: “E’ stato molto bravo – racconta Reja – molto forte psicologicamente. Non ha mai rilasciato dichiarazioni, interviste compromettenti. Col tempo ha iniziato a far bene. Lavorava, si impegnava. E i tifosi si sono affezionati, è stato anche capitano. Già dalla prima settimana di allenamento si vedeva che avrebbe reagito bene, in partitella era il primo a metterci grinta, voglia. Segnava e dribblava. Calciava divinamente. Poi è arrivato il gol al Napoli…”.

E tutto quel che ne consegue: “Giocatore completo, davvero. Salta l’uomo, crea superiorità, ha piede, fa tutta la fascia avanti e indietro. E’ migliorato anche nella fase difensiva. Tecnica, velocità, progressione, resistenza. Un giocatore vero, l’Inter ha fatto un grande affare. Dimostrerà tutta la sua forza”. Punti deboli? “Forse di testa. Per il resto è un talento puro”. Ala si diventa, non si nasce. Con un grazie a Reja e alle sue intuizioni: “Giocava sulla sinistra, voleva rientrare e calciare in porta. Gli ho fatto capire che sarebbe stato meglio partire da destra, arrivare sul fondo e crossare. E’ l’ultima ala che ci è rimasta, poi da quella parte ce ne sono davvero pochi. Ne abbiamo tanti a sinistra, tipo Giaccherini. O lo stesso Keita Balde. Idem Gomez, che a destra rende un po’ meno. Giocatori bravi nel breve. Poi Antonio ha un piede straordinario, mi è sempre piaciuto. Già ai tempi dell’Udinese”.


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Storia di un cambiamento: “E’ diventato un giocatore completo. Prima aveva qualche insicurezza. Un po’ per l’ambiente, un po’ per il ruolo”. Ma i consigli di Reja son serviti: “Non era convinto di quella posizione, ci ho parlato spesso e ho avuto la meglio. Gli dicevo che doveva fare l’esterno destro, in attacco c’era Klose, doveva essere servito in modo giusto. Col passare del tempo si è esaltato, diventando il giocatore che tutti conosciamo”. Arrivo inaspettato il suo: Era il gennaio del 2012, ci serviva un rinforzo. Lui a Cesena non giocava, l’abbiamo preso negli ultimi due minuti di mercato. Mi ricordo le chiamate di Lotito, mi diceva “Allora? Lo vuoi Candreva? E’ un mese che ti dico di chiudere, cerca di prenderlo!”. E alla fine è andata come è andata”. 

192 presenze, 45 gol, la Coppa Italia del 2013, quel cross per Lulic che rimarrà sempre nella storia. Derby, 26 maggio. Storie da Lazio. E la storia, oggi, continua a Milano: “Siamo in ottimi rapporti – dice Reja – l’ho sentito a fine campionato, mi diceva che aveva la possibilità di andar via. Su di lui c’era anche il Napoli, ci confrontammo anche su questa possibilità”. Qualche aneddoto poi: “Non si risparmiava mai. Mi ricordo una trasferta a Novara, campo sintetico, molto difficile. Ogni 10′ si girava verso la panchina per dirmi che non ce la faceva più. Era al 50% ma lo facevo giocare sempre”. Irrinunciabile, instancabile. Sant’Antonio da Tor de’ Cenci. Diventato Candreva grazie a quella tigna che lo portava ad “incazzarsi”. “Er puzza”. Grazie a quei tiri verso le “plafoniere della lampade”. Grazie alla Lazio. E grazie a Reja.