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Focus Pordenone – Il presidente Mauro Lovisa: “Vogliamo la B nel giro di due anni! I valori, l’azienda e l’orgoglio friulano…”

Una bella favola è tale soltanto laddove si tramuta in solida realtà. Magari inaspettata, sorprendente, romantica… perché no? A prescindere dall’aggettivo che decidiamo di affibbiargli, il medium è sempre e soltanto uno: il lavoro. Come nel più tautologico teorema matematico. Con e per mezzo del lavoro una bella favola può divenire solida realtà. Lavoro, obiettivi, valori, risultati: un simposio vincente, un circolo amebeo nel quale la fattualità esalta una gestione estremamente oculata e razionale. Perché nel calcio – come nella vita – spesse volte dio denaro – che pure è una componente senz’altro fondamentale – cede il passo al cospetto dell’idea, dell’intuizione, del lavoro e della perseveranza.

Una favola (resa tale, per l’appunto!) chiamata Pordenone. Smaltita in fretta la delusione per l’eliminazione in semifinale playoff dello scorso giugno e una mini rivoluzione (mini neanche troppo) la quale ha portato al’addio di Tedino e di alcuni titolarissimi, l’avvio di stagione è stato decisamente scintillante. Nove punti in tre partite, primo posto nel girone B di Serie C… Panta rei, d’altronde!

Conosciamo, dunque, il ‘padrone di casa’. Nell’accezione più vera e genuina che si può attribuire a siffatta locuzione perché l’immagine che risalta è davvero quella di una grande famiglia, di un gruppo di lavoro armonioso nel quale ogni tassello è minuziosamente collocato al suo posto in totale simbiosi con gli altri. “Noi non siamo né russi, né cinesi…siamo friulani! Tre soci friulani che lavorano giorno e notte e mettono soldi veri nella società”. Parola di Mauro Lovisa, socio di maggioranza e presidente del Pordenone. Orgoglio e senso di appartenenza perché calcio e territorio sono un binomio inscindibile. Trasuda tutto questo dai pensieri di colui il quale in dieci anni ha portato una città intera a re innamorarsi del calcio. Perché una squadra di calcio – in tutte le sue declinazioni e componenti – è pur sempre un aggregato sociale per antonomasia. Un vessillo – per quanto banale possa sembrare – estrinseca una socialità dal valore inestimabile.

La mia storia alla guida del Pordenone deriva dalla grande passione che nutro per questo sport. Nient’altro. Io ho giocato qui, tra Eccellenza e Serie D, ma la mia carriera da attaccante non è durata molto: ho deciso di abbandonare abbastanza presto in nome del lavoro. Siamo una società ‘familiare’, basata su pochi e semplici valori: serietà, dignità e lavoro, di quelle persone per le quali conta ancora una stretta di mano…”. Virtù rara in un mondo generale tutto incentrato su apparenza e massimizzazione del profitto. “A chi lavora con me – spiega Lovisa ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com – prima di tutto chiedo una cosa: tradurre in atti pratici i valori di cui sopra. Perché a parlare siamo bravi tutti, ma la vera virtù dell’uomo – se così vogliamo chiamarla – si vede dalle azioni. Ed io da presidente, allo stesso tempo, ho il dovere di trasmetterli a tutti, in primis a mio figlio Matteo”. Poco più di vent’anni Matteo Lovisa, uomo mercato del Pordenone. Vero deus ex machina, dalla scelta di Colucci in panchina a quelle dei giocatori. Competenza e personalità, nella linea guida valoriale dettata da papà Mauro. Uno splendido quadro familiare nell’onestà, nella lealtà e nel lavoro duro.

Concetto quest’ultimo estremamente caro al presidente… “Spesso non riesco proprio a capire come ragionano certi calciatori. Due ore di allenamento al giorno e dicono di essere stanchi. Ma ho trovato, da qualche anno, la giusta soluzione: se mi dicono che sono stanchi, li porto a lavorare in azienda con me. Un bel turno da otto o nove ore al giorno e passa la paura. Ora che lo sanno, infatti, mi dicono sempre che stanno benissimo (ride)”. Un pizzico di sana ironia e una convinzione quale architrave ferreo… “Ricorro ad un paragone, forse troppo aulico ma che senz’altro rende l’idea: quando Guardiola è andato al Bayern Monaco, i media a Rummenigge chiesero se a quel punto lì loro si fossero dovuti adattare a lui. E Rummenigge rispose in maniera magistrale: ‘Non siamo noi a doverci adattare a lui, ma lui a noi’. A Pordenone funziona così. Qui c’è una struttura societaria consolidata e chi viene ci si deve adattare. Nello specifico con Colucci l’intesa è stata immediata. Ci tengo a sottolineare che abbiamo uno degli staff professionistici più giovani d’Europa con ragazzi – tutti laureati – che vanno dai 21 ai 30 anni. L’unico vecchio è il presidente, provvederemo a sostituirlo (ride)…”.

Un presidente che ama profondamente la sua società. L’immagine, in tal senso, è chiara, limpida, pulita. Sono i trecento e passa bambini del settore giovanile che non appena lo vedono arrivare al campo gli corrono incontro per salutarlo… “Io ne conosco tutti, uno ad uno. Ho investito moltissimo sul settore giovanile perché lì c’è il nostro futuro, c’è il sorriso di ogni bambino che viene al campo e si diverte. Quando siamo partiti, dieci anni fa, non c’era neanche un ragazzino tesserato. Stiamo ristrutturando il centro sportivo, investiamo soldi veri. Io, noi nel giro di due anni vogliamo andare in Serie B, vogliamo fare questo regalo ad una città che lo merita davvero. Lo dissi dieci anni fa e ora siamo in linea con i programmi. Non sono un veggente, non sono un mago…nella vita si vive di obiettivi! Se smettiamo di lottare per un qualcosa o ci accontentiamo, perdiamo anche quel poco che abbiamo fatto. Alzare l’asticella, un passettino alla volta”. Un proemio di emozioni, un amore per Pordenone e per il calcio che travalica ogni confine. E un’ultima convinzione vera, bella, romantica… A 53 anni sono ancora in tempo per innamorarmi, ogni giorno come se fosse il primo, di questo sport e di questi colori”.