Florenzi story, un pallone al posto del cuscino. I ricordi del primo allenatore: “L’ho visto nascere, oggi mi emoziono”
Caffè al baretto e giornale aperto, “Alessandro Florenzi” scritto in prima pagina. #LazioRoma s’avvicina, il “pischello” di Vitinia verso il primo derby da capitano. Emozione. Maurizio sorseggia piano piano e ricorda. Pensa, ripensa. Userebbe un giratempo: “Era sempre il primo in ogni esercizio”. Soddisfazione. Sandrino e quel pallone di cuoio, quei ricci rimasti tali. “Anvedi come gioca il ragazzetto tuo eh?” gli dicevano al tempo. Anno dopo anno, dalla Primavera al Crotone. Fino ai primi gol in Serie A. Maurizio Ceccarelli annuiva, in silenzio. Non gli è mai piaciuto vantarsi, ma dentro di sé s’inorgogliva. E oggi si commuove: “Io, primo allenatore di Florenzi. L’ho visto crescere, nascere. Ho già un nodo alla gola…”. La butta lì così, ci spiazza.
Tempesta di aneddoti in arrivo, in esclusiva su GianlucaDiMarzio.com: “Alessandro era il figlio dei gestori del bar, iniziai ad allenarlo a 4 anni e già giocava sotto età: era il più bravo di tutti. Ha fatto una lunga scuola calcio, io l’ho avuto per circa 5 anni. Ho allenato anche il fratello…”. Già, Emiliano. Più forte di Ale? “No, no (ride ndr). Era bravino certo, ma non esageriamo. L’ho avuto prima a Dragona, poi alla San Leonardo, la società dell’oratorio di Acilia. Lo andavo a prendere a Vitinia, poi giocavamo e lo riportavo a casa la sera. La madre era incinta di Alessandro”. Era destino quindi: “Ale ha sempre avuto voglia di giocare, dormiva col pallone al posto del cuscino! Io arrivo al campo e lui palleggiava. Poi mi veniva vicino, mi chiedeva: Mister, andiamo a prendere il materiale? Andiamo a prendere i palloni? E i birilli? Era sempre il primo. Finiva un esercizio prima degli altri, poi si rimetteva in fila. Un adulto in miniatura”.
Maurizio si ferma, si emoziona. Poi continua: “Aiutava sempre tutti, non ha mai avuto uno screzio coi compagni di squadra. Se l’avessi allenato come portiere sarebbe stato il migliore, in ogni ruolo lui emergeva. Era un secondo allenatore”. E oggi? Rimasti in contatto? “Ogni tanto sì, sento spesso anche i genitori, vado al loro ristorante a Vitinia. Sotto il vetro del bancone hanno tutte le foto, ci sono anch’io”. Aneddoto? Arriva arriva, la butta di nuovo lì: “Ti racconto questa: Alessandro esordì in Serie A entrando al posto di Totti in un Roma-Sampdoria (22-5-2011 ndr). Gli fecero una foto. Qualche giorno dopo suona il campanello, era Sandro! Mi portò la foto, c’era una dedica…”. Commozione inevitabile, occhi lucidissimi. Chiamasi riconoscenza. “A Maurizio, il mio primo mister. Con affetto, Alessandro”.
Son passati 5 anni ma quei ricci neri son sempre lì, vicino al cuore. Pallone, playstation, amici. Famiglia: “Persone umili, semplici” racconta Maurizio. “Sono stato fortunato, dopo averlo allenato passò alla Lodigiani. Poi Antonio Di Carlo lo vide giocare e lo segnalò a Bruno Conti, che infine lo portò alla Roma.” I primi sorrisi, i primi trofei, la prima coppa: “La conservo ancora! Ce l’ho a casa, la vincemmo in un torneo disputato al Colombo”. Poi chiude, spiazzandoci ancora. Perché quei ricordi li può capire solo lui: “Alessandro l’ho visto crescere, mi riempie d’orgoglio”. Parole strozzate dall’emozione: “Ora basta dai (ride, in realtà si commuove), altrimenti mi emoziono troppo!”. E chiude così.
Oggi Maurizio Ceccarelli fa ancora l’allenatore, insegna calcio alla Totti Soccer School (alla Longarina, vicino Ostia Antica. società di proprietà della famiglia Totti). Non solo Florenzi, ha allenato anche i figli di Montella, Tonetto, Pizarro e…Totti. Curiosità livello master, aneddoto d’obbligo: “Le movenze di Christian ti impressionano, sono simili al padre. Identica postura. E’ bravino, ha qualità. Te ne racconto una: facevamo un gioco, mettevo una casacca sotto la traversa e dicevo ai bambini di colpirla. Lui, da 15 metri, tirava e la buttava giù almeno 3 volte su 5. Nessuno come lui, ti parlo di ragazzini di 7-8 anni. Pressione? Purtroppo sì, tanta. Lo sappiamo. Spero lo facciano giocare tranquillo, è pur sempre un ragazzino”. Chiude davvero stavolta, il viaggio è finito. Anche l’intervista. Le emozioni, i ricordi, l’affetto. Quelli no, resteranno per sempre. Roba loro, di Maurizio e Sandrino. Come padre e figlio.
Per le foto si ringrazia Andrea Zezza