Questo sito contribuisce all'audience di

Pesce e il gol alla Ronaldo, ma niente paragoni: “Lui è di un’altra categoria”

Domenica con la sua Feralpisalò ha siglato un gol che ricorda molto quello del portoghese contro l’Empoli: “Il suo è pensato il mio è venuto al momento”. L’ex Cremonese ci racconta la sua storia, l’importanza della famiglia, la passione per la Juve e l’incontro con Simeone e Giampaolo, a Catania, che ammette: “Mi hanno cambiato”.

Una carriera vissuta da protagonista ovunque si trovasse. Che fosse Serie D, C, B o A, Simone Pesce il suo spazio se lo è sempre ritagliato. Terzino prima, mediano poi per un’intuizione di Giampaolo al Catania. Non è mai stato un goleador, ma quelli che ha messo a segno sono state spesso perle di rara bellezza. L’ultima domenica, con la maglia della Feralpisalò, contro il Gubbio: un gol fotocopia di quello di Cristiano Ronaldo contro l’Empoli. Sembra una boutade, un paragone troppo azzardato, ma se guardiamo il gol…

[tweet id=”1056878047088074752″]

Mica male vero? Un tiro da fuori area che ha spiazzato tutti: avversari, portiere compreso, e compagni. Tutti sono corsi ad abbracciarlo e a festeggiarlo. Ai microfoni di gianlucadimarzio.com si è raccontato partendo da questo gol e tornando indietro con la memoria agli inizi nel cortile di casa (come tutti), al suo amore per la Juventus e a questa avventura in Serie C, nel girone B, con la Feralpisalò.

Gol alla Ronaldo? Sì è vero, ma non facciamo paragoni scomodi. Lui è
abituato a fare certe giocate io no anche se spesso provo la soluzione dalla
distanza. Io di media ho due/tre gol all’anno – a parte una stagione dove ne ho
fatti sei – però diciamo che mediamente non finisco la stagione a secco.
Dopo il gol di Ronaldo ho pensato “adesso ci provo anche io?” No no (ride ndr). Sono
troppo avanti con l’età per pensare a queste cose, magari quando ero giovane
sì.
Il suo era più pensato il mio è stata una cosa veloce. Stop, controllo e tiro, tutto qui. Non ho pensato di averlo imitato sono sincero, non mi sono esaltato. So di aver fatto un gran bel gesto tecnico ma non come il suo”.
Umiltà e onestà. Di vedersi raffrontato a Ronaldo, Simone, proprio non vuole saperne. Ma ammette che: Segno poco, ma calciando spesso da fuori area è difficile che i miei gol siano brutti. E’ una specialità che provo anche in allenamento. Quando capita ci provo”.



Un giocatore esperto, navigato, che a 36 anni parla come chi di partite ne ha viste tante e giocate altrettante. Il suo destino lo conosceva fin da piccolo Simone quando gironzolava ovunque con la palla tra i piedi o in mano. Sapeva cosa avrebbe voluto essere da grande e c’è riuscito: Sapevo fin da piccolo che avrei fatto il calciatore. Avevo sempre la palla tra i piedi. Mio padre mi dice sempre che da grande non ho mai detto che volevo fare quello o quell’altro. Io volevo solo giocare ‘a palla’. Alla fine ho realizzato il mio sogno: diventare un calciatore. Poi sono riuscito a segnare in tutte le categorie in cui ho giocato dalla Serie D alla A. A volte penso che avrei potuto fare di più, ma non conta dirlo adesso…” Eh sì perché lui non si guarda indietro triste o con qualche rammarico, no. Simone è felice di quello che ha ottenuto e a 36 anni pensa solo a godersi quello che resta della sua carriera perché, come ammette lui:Se a 13/14 anni mi avessero detto che avrei fatto questa carriera ci avrei messo la firma“.

Una passione supportata dalla sua famiglia che non gli ha mai messo pressione e lo ha cresciuto con valori che difficilmente ora si possono trovare, di nuovo, su un campo da calcio. Zero pressione e zero alibi. Solo tante belle parole e incoraggiamenti anche nei momenti più difficili

La Juventus, Aurora e Sofia e il numero 18

“Juventus? È la squadra per cui tifo fin da quando sono
ragazzino. È una passione trasmessami dalla famiglia: nonno, papà, zio. Strano
perché sono di Latina? E invece no. Latina, Sabaudia ecc. sono città nate negli anni ’30, c’è stato un esodo dal nord
e quindi molte famiglie arrivando dal settentrione tifavano per le squadre come
Juve, Inter e Milan. Anche la mia famiglia, ad esempio, ha origini venete e
anche per questo mi è stata trasmessa la passione per il bianconero.
Da calciatore però l’ho affrontata solo due volte. Emozione? No, pensavo anche io di più. Credevo di provare sensazioni
diverse vedendo di fronte a me – come avversaria – la mia squadra del cuore.
Con chi ho scambiato la maglia? Bonucci, che lo conoscevo, e Marchisio”.
Sereno e tranquillo sviscera gli aneddoti della sua vita e per ognuno sorride. La felicità di cui parla ovvero essere diventato un calciatore è tangibile.

Ma è quando gli chiediamo delle sue bimbe (alle quali ha dedicato anche un tatuaggio) che parla davvero a cuore aperto. Le gioie più grandi della sua vita Aurora e Sofia: “In casa mia si balla tanto. La primogenita non fa altro tutto il giorno quindi è un continuo saltare e ballare anche alla Nintendo Switch. Alla piccolina
piace giocare con le bambole, mi tocca questo… ma mi riempiono di gioia ed
emozioni. Sono la mia vita.
Come vivono il papà giocatore? Sono molto presenti
e vengono sempre a vedermi, ci tengono un sacco a me…
sono molto presenti e mi
riempiono molto la vita perché anche quando ci sono momenti negativi mi fanno
sorridere.
Però quando ci sono le partite la musica cambia… E’ qui che viene fuori lo sportivo e l’appassionato di calcio La mamma sa che quando devo guardare le partite non devo
essere disturbato
“.
Ride, ancora. Una risata genuina di chi è abituato a vivere per le cose semplici senza badare troppo al particolare. Un po’ come quando ad Ascoli, la sua prima esperienza fra i grandi, scelse la maglia numero 18. Due cifre alle quali non si è più staccato a parte a Catania: “Ero l’ultimo arrivato e quindi mi dovevo un po’ accontentare
di quello che c’era. Il 18, tra i numeri rimasti, era quello che più mi
piaceva.
Era il numero dei grandi, dei giocatori forti. Quando vedevo i
Mondiali da piccolo, ad esempio, ce l’aveva Baggio
. Mi ricordava i giocatori
estro e fantasia, quelli che mi emozionavano”.
Particolare e mai banale, that’s Pesce o Pesciolino come lo chiamano amichevolmente i compagni di squadra.

La Feralpisalò, Simeone e Giampolo i modelli per un futuro non così certo…

A 36 anni è normale cominciare a pensare al dopo, a quello che succederà una volta che il sipario sulla sua carriera calerà e inizierà una nuova vita. Simone è convinto che sarà sempre nel calcio il suo futuro. Se da dirigente o allenatore non lo sa per ora è concentrato solo sulla Feralpi, una realtà nella quale si è calato alla perfezione anche come leader e (nelle ultime tre gare)… capitano: “Sì, ma solo perché Andrea (Caracciolo ndr) è infortunato, ma comunque non è un peso. L’ho già indossata e poi mi piace essere un punto di riferimento in campo e fuori. Scegliere la Feralpisalò è stata una scelta importante. Due anni di contratto a 36 anni mi hanno dato fiducia e poi
il progetto è stimolante.
Devo ringraziare soprattutto il presidente Giuseppe Pasini, mi ha voluto fortemente e mi ha fatto sentire importante. Abbiamo faticato all’inizio perché abbiamo cambiato
molto, ma ora abbiamo creato un bel gruppo. Qui c’è tranquillità e voglia di
fare bene. Io cerco di dare il mio contributo con esperienza e umiltà”.
Qualità che, ne siamo certi, metterà in campo anche se farà l’allenatore.

“Non lo so davvero cosa farò finito di giocare… Se dovessi fare l’allenatore prenderei come esempi Simeone e Giampaolo? Assolutamente sì. A Catania ho avuto la fortuna di avere questi due maestri. Simeone mi ha lasciato tanta autostima, la gestione del gruppo – faceva sentire tutti importanti – e poi infondeva una mentalità da grande squadra a noi giocatori. Era un leader carismatico. Quando dicono che per lui i suoi giocatori si butterebbero nel fuoco è vero, lo avremmo fatto tutti. Giampaolo? Lui mi ha insegnato a giocare a calcio, a stare in campo. Questo sport l’ho visto e interpretato in modo diverso con lui. Lo reputo uno dei migliori in assoluto. Sia per la gestione del gruppo che per il modo di allenare”. Incertezza nel futuro, ma una certezza: qualunque cosa sceglierà di fare sarà sempre e comunque protagonista.