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“Da piccolo impazzivo per Conti e Laudrup. Conte il mio modello”. Cagliari, viaggio nel mondo di Rastelli

“Io il Ferguson del Cagliari? Magari, ma ne riparliamo tra vent’anni…”: dipendesse tutto da Massimo Rastelli in Sardegna ci rimarrebbe a vita. Ma si sa, nel calcio l’aspetto romantico è condizionato da quello pratico, i risultati. Ci troviamo di fronte alla persona giusta. Dai vicoli di Torre del Greco, a San Siro e l’Olimpico, dalla terza categoria alla serie A, Rastelli raramente ha fallito, partendo sempre dal basso “altrimenti non c’è gusto”. Gavetta e risultati e alzi la mano chi, pure in Sardegna, si può lamentare… Una promozione con primo posto storico, poi salvezza tranquilla e adesso un inizio di stagione che, dopo i complimenti, ha portato anche i primi tre punti.

Identità precisa, gioco e ambiente sereno, cosa è cambiato rispetto alle scorse stagioni? “Anzitutto ho due anni in più d’esperienza in questa splendida realtà, che mi hanno permesso di avere una migliore conoscenza dell’ambiente, della società e dei calciatori” – risponde Rastelli ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com “Sicuramente quest’anno percepisco una sintonia e un’armonia diverse rispetto agli anni passati, in positivo naturalmente”. Al resto ci ha pensato la dirigenza sarda, che dopo la partenza di Marco Borriello, quasi in un moto d’orgoglio, ha messo a segno il colpo Leonardo Pavoletti, l’acquisto più costoso della storia rossoblù: “Non mi stupisce” – riprende Rastelli – “Sono molto soddisfatto della rosa messa a disposizione, compiaciuto e contento, perché sono consapevole che la società ha fatto uno sforzo importante per cercare di accontentarmi e questo testimonia la grande stima che hanno per me. Van der Wiel e Pavoletti, senza dimenticare gli arrivi di Cigarini e Andreolli: non potevo chiedere di meglio”.

Orgoglio, cuore e senso di appartenenza le altre parole magiche, e anche la Sardegna Arena darà il suo contributo: “Entrare in quello stadio ci dà coraggio, forza e consapevolezza e mi auguro tanti punti. Avere il pubblico vicino, sentire la loro voce, le frasi di incoraggiamento, vedere l’espressione dei loro volti, dà una carica incredibile”. In un certo senso Cagliari era nel destino di Rastelli: “Fin da piccolo ho sempre avuto una simpatia speciale per il glorioso Cagliari dello scudetto e per Gigi Riva, il mito. Una squadra che mi piace da sempre e avere il privilegio di guidarla per tre stagioni mi ha permesso di conoscere ancora meglio ciò che la circonda: questo ha consolidato il mio sentimento. In certi casi non c’è una spiegazione, sono sensazioni che provi ‘a pelle’. Partivo avvantaggiato perché da più di vent’anni è qui che trascorro le mie vacanze. Poi la città, le persone passionali ma allo stesso tempo discrete, che ti fanno vivere nelle migliori condizioni. Il mare, il sole, il clima, serve altro? (ride) C’è tutto per dare il meglio di sé stessi”.

Elegante nelle risposte, pacato, mai polemico. Ma anche per le persone per bene non sempre è tutto così facile… “Certamenbte no. Cerco sempre di rimanere equilibrato, di non farmi influenzare dai giudizi, dai risultati e credo che il segreto stia in gran parte qui: io credo nel mio lavoro. Nei momenti difficili cerco di isolarmi il più possibile, di non dare ascolto a chiacchiere e giornali e in questo modo sono sempre riuscito a superare queste fasi di difficoltà. Ho sempre fatto così, anche da giovanissimo“. A proposito, com’era il Rastelli “scugnizzo”? “Una peste, con un amore innato per il pallone dalla mattina alla sera tra i piedi, qualsiasi spazio poteva diventare un campo di gioco. Per la gioia di mia madre ho rotto di tutto (ride, n.d.r.). Per strada ricordo le partite interminabili con i miei amici, i famosi pali fatti con le felpe e i cancelli delle abitazioni a fare da porta. Una passione che poi mi ha spinto e mi ha permesso di arrivare fina alla serie A”.

Paura di non farcela? “Mai. Ho sempre avuto in testa l’obiettivo di fare il calciatore e, nonostante momenti difficili, in cui ho dovuto fare sacrifici, ho sempre avuto la forza per resistere: non ho mai pensato di non farcela. Il mio è stato un percorso tortuoso, perché ho fatto dalla terza categoria alla serie D. Feci poi il grande salto in serie B, grazie al Catanzaro, quella è stata la svolta: lì ho capi che probabilmente ce l’avevo fatta, che potevo fare della mia grande passione un mestiere. La mia adolescenza era stata impostata per il raggiungimento del professionismo e tutte le piccole e grandi rinunce che avevo fatto da ragazzino trovarono coronamento”. A chi si ispirava il Rastelli calciatore? “Essendo un esterno che faceva della rapidità, della velocità il suo punto di forza, non potevo che ispirarmi a Bruno Conti. Mi piaceva molto anche Michael Laudrup, un altro grande interprete di quel periodo: erano il top nell’uno contro uno. Li seguivo cercando poi di riproporre in allenamentoquello che avevo visto”.

Il momento chiave? “L’acquisto da parte del Catanzaro, quell’incredibile salto dal mondo dei dilettanti al professionismo: mi resi conto che quella era l’occasione che non potevo fallire, a un passo dal paradiso della serie A. L’impatto fu notevole, la differenza, anche in termini di immagine, impressionante: pensai che forse ce l’avevo fatta. Ma era solo l’inizio. Ho giocato fino a quarant’anni e fino all’ultimo non avevo le idee chiare su quello che avrei dovuto fare dopo. Nel 2009 purtroppo mi ruppi i legamenti, il primo infortunio serio della mia carriera e capii che era finita, era arrivato il momento di smettere. Francesco Manniello e Francesco Giglio, allora proprietari della Juve Stabia, mi chiesero di scegliere se volevo fare il direttore sportivo o l’allenatore.Abbiamo vinto subito il campionato e da lì è iniziata la seconda parte della mia storia. Il mio modello è Antonio Conte, il punto di riferimento: in questo momento è il top. In serie A ci sono tanti allenatori bravi e preparati, con nessuno è facile: ti danno tutti del filo da torcere. C‘è grande stima per tutti, ma è normale che abbia un rapporto privilegiato e di grande amicizia con Eusebio Di Francesco e con Simone Inzaghi: assieme abbiamo vissuto momenti importanti“.

Rastelli è stato molto spesso definito “un amico” dai suoi calciatori, quanto conta l’aspetto psicologico?Lo metto davanti a tutto, è fondamentale per raggiungeregli obiettivi. All’esterno sono molto spesso ‘solo’ calciatori, ma in realtà sono ragazzi come tutti gli altri. Alcuni molto giovani, che vanno gestiti, indirizzati, aiutati e protetti. Devono essere pungolati nel modo giusto, il rapporto umano è fondamentale. Gli aspetti tecnico-tattici sono solo il passo successivo, importantissimo, ma conseguente aquelli psicologici”. Una società forte e un presidente con gli attributi completano il quadro:Non posso che continuare a ringraziare Giulini. Ha creduto in me tre anni fa e mi ha fatto sentire sempre stima, sostegno e fiducia. Però sono anche realista e so che devo continuare a lavorare sodo e ottenere risultati, perché nel calcio sono quelli che contano di più. Spero che, al di là di ciò che accadrà in futuro, i rapporti rimangano. Il presidente è una persona con la quale c’è il piacere di confrontarsi e che mantiene gli impegni, è la cosa che mi ha colpito di più. Giulini è un gentiluomo, nei modi e nei pensieri”.

Quindi firmerebbe per diventare il Ferguson del Cagliari? Nuova risata e pronta risposta: “Magari! Però Ferguson a Manchester ha fatto più di vent’anni. Io sono realista, dipende tutto dai risultati. Tuttavia mi auguro di fare un percorso simile, di stare tanti anni in una città e un club che adoro. Significherebbe che insieme a società e calciatori avrò avuto la possibilità di far crescere il Cagliari e di averlo portato ai massimi livelli. Questo è il sogno più grande…”. Orgoglio, cuore e senso d’appartenenza: ormai Rastelli è un sardo acquisito.