Questo sito contribuisce all'audience di

Camplone…tra panchina e spiaggia: “Amo il mare, in futuro andrò a vivere in un’isola sperduta. E il mio stabilimento balneare…”

Qui dove il mare luccica e tira forte il vento, su una vecchia terrazza, davanti al golfo di Surriento…’. Ode al mare, ad un’immagine precisa che colpisce la tua immaginazione e la imprigiona in un insieme unico di suoni e colori. A questo punto basta soltanto spostarsi un po’ più in su, sul versante Adriatico: fermata Pescara. Anzi, meglio fare le cose con precisione scegliamo anche lo stabilimento balneare: Lido Gilda, il numero 39. “Nessuna assonanza con il calcio, è solo il numero di concessione”, puntualizza subito Andrea Camplone, allenatore del Cesena e proprietario del lido…. “Amo il mare alla follia e poi io non riesco a stare chiuso un secondo dentro quattro mura”.

Fogli con i movimenti tattici in mano e contemporaneamente sdraie e ombrelloni da sistemare. Possibilmente verso le 19, quando il sole cade sul mare e si affievolisce nel tiepido blu. “A 34 anni ho smesso di giocare – racconta Camplone ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com – sono andato da mia moglie e le ho detto… ‘Apro uno stabilimento balneare, il calcio ormai penso di lasciarlo perdere’. Ma avete presente quella sensazione di incompletezza, che ti manca sempre qualcosa?”. Perché, in fondo, il calcio è una sorta di spirale dalla quale poi una volta entrato non riesci più ad uscire… “E tanto bene mi arriva una chiamata dal Penne, una squadra della provincia di Pescara. Sono andato, abbiamo vinto il campionato e da lì è cominciato tutto. A proposito vorrei dedicare un pensiero a Piero Di Pietro che era un mio caro amico ed è scomparso nella tragedia di Rigopiano. Lui allenava il Loreto e con il Penne abbiamo giocato un sacco di derby”. Qualche istante di silenzio, di fronte a certe cose nessuna parola può risultare davvero appropriata… “Noi abruzzesi siamo gente tosta, ci rialzeremo anche questa volta”.

Meglio guardare il mare, fermarsi anche solo per un attimo a riflettere, a provare a raccogliere dal rumore delle onde o dalla maestosità dell’infinito un pizzico di speranza. “Io diciamo che faccio una vita un po’ particolare, non mi fermo mai: finito il campionato comincio a lavorare allo stabilimento. Ora poi stiamo ristrutturando il Lido, gli cambieremo anche nome”. Quindi niente vacanze? “Sì, in inverno in qualche isola deserta, ne abbiamo girate tante: Maldive, Seychelles ma soprattutto Cuba, che è il Paese che mi ha colpito di più”. Basta un sorriso… “Esatto, il sorriso delle persone! Nonostante facciano fatica ad arrivare alla fine del mese, comunque non perdono mai il buon umore, cantano e ballano. E’ forse questa una delle cose importanti della vita”. Già, affrontarla con leggerezza: non servono grosse citazioni di Socrate o Aristotele per testimoniarlo, basta semplicemente guardare a chi ha meno di noi.

“Quando smetterò di allenare, ci ritireremo con mia moglie a vivere su un’isola sperduta”. D’altronde l’immagine WhatsApp (le Maldive) parla chiaro. C’è tempo, però. La scrivania è ancora piena di dettami tattici da impartire ai calciatori…Dove la prepareresti la valigia? “Eh infatti, sarebbe un bel problema. Ora penso al calcio e al mio Cesena, che è una piazza importante e c’è la tranquillità giusta per far bene. Il giorno dopo che sono rientrato dalle Maldive mi hanno chiamato, ci siamo visti alle dieci di sera vicino Macerata”. E, dando un po’ di pathos manzoniano, è scattata subito la scintilla… “Bene così dai, c’è un bel gruppo e poi avevo tanta voglia di rimettermi in gioco dopo l’esperienza al Bari. Anche lì sono stato benissimo, ogni volta che entravo al San Nicola avevo la pelle d’oca. I tifosi sono sempre stati fantastici, mi sono stati vicino pure nei momenti difficili. Io credo di aver fatto un buon lavoro, che non si può cancellare in cinque minuti…”. Quelli della sciagurata partita dei playoff contro il Novara. Si vive di ricordi d’altronde…e anche di Maraffone, gioco di carte tipico della Romagna che mette insieme briscola e tressette… “Lasciamo perdere, abbiamo smesso di giocarci perché con il direttore Foschi perdevamo sempre. Sfidavamo i dottori o i fisioterapisti, puntualmente ci facevano neri”.

Ama ascoltare la musica e soprattutto leggere, Camplone. “Una passione che vorrei trasmettere ai calciatori. Un libro al mese al posto delle sfide alla Play Station…”. Quindi un Cesena tutto romanzi e possesso palla“Magari! Credo che la gestione della palla sia qualcosa di fondamentale, non mi piacciono le squadre che la buttano sempre in avanti, quello è un altro gioco. Ogni tanto mi guardo il Pescara di Zeman o il primo Barcellona di Guardiola. Il mio maestro, però, è Galeone che lo ho avuto per tanti anni”.

Calcio e mare, schemi e ombrelloni. La bellezza di amare una qualsiasi cosa è proprio qui: nel non fermarsi mai per raggiungerla. “Fra poco ‘ricostruiamo’ la stabilimento per l’estate. E’ ciò che mi piace di più perché all’inizio c’è solo spiaggia e tu devi ingegnarti per posizionare tutti gli ombrelloni e le sdraie, rispettare le varie distanze, capire bene dove mettere le varie cose. E poi i numeri non tornano mai e stai lì a pensare e ripensare…”. Un po’ come una squadra di calcio, dove devi immettere le tue idee, il tuo credo… Nel relativismo più totale. Nella libertà più totale. Quella che c’è nella solitudine a tre passi dal mare o in un campo di calcio con diecimila spettatori, poco importa. E’ tutta una questione di passione…