Calciosofia – L’insostenibile leggerezza dell’essere Totti, fra Agostino e Bergson
“L’accostamento fra filosofia e pallone è tanto affascinante quanto inevitabile. Il calcio è molto più di un semplice sport, e come tale va trattato. Noi ci divertiamo così: a far sporcare le mani – e i piedi – alla filosofia, facendola parlare di calcio. Con semplicità, rispetto e un pizzico d’ironia. Perché, come dice Mourinho, “chi sa solo di calcio, non sa niente di calcio”
Per un calciatore non è facile essere Totti. Probabilmente, non è facile neppure per Totti essere Totti. E ovviamente, non è facile neppure per Spalletti avere a che fare con Totti. Un personaggio tanto ideale quanto ingombrante, una monade platonica nella quale la Roma – e Roma – non può fare a meno di specchiarsi ogni volta per cogliere la sua vera essenza. Un’essenza che si può confrontare con quella dei protagonisti del romanzo di Kundera “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, per i quali l’essere (e quindi il vivere) diventa “leggero” perché le nostre scelte – essendo uniche e senza controprova – non potranno mai essere verificate, e quindi perdono di importanza. Ma questa mancanza di senso è un grosso peso – praticamente insostenibile – per l’uomo che vorrebbe sapere: da qui, il famoso titolo. Per la vicenda-Totti è uguale: difficile stabilire chi ha torto e chi ha ragione, difficile stabilire chi ha preso le decisioni giuste e chi no, difficile stabilire addirittura se in questa storia esistano davvero due parti contrapposte che remano controcorrente. Ma la questione non potrebbe diventare più “leggera”? Basterebbe godersi appieno il glorioso e epico canto di un immortale campione, gustandosi fino all’ultima stilla ogni colpo del Pupone senza pensare troppo a dietrologie e veleni vari. Facile a dirsi, meno a farsi, perché si parla pur sempre di uno dei giocatori più importanti del calcio italiano: quando uno come lui viene tirato in ballo, ci sentiamo presi in causa tutti. Ecco l’insostenibile leggerezza dell’essere Totti. Probabilmente Spalletti – l’unico deputato a scegliere (con leggerezza o meno) sull’ottavo re di Roma – sarebbe d’accordo a metà: per lui, meglio parlare di insostenibile pesantezza dell’essere allenatore della Roma…
C’è una certezza: Totti ha quasi fermato il tempo. Al di là di qualsiasi polemica, a quasi 40 anni è clamoroso risultare decisivi come lui sta facendo in questo momento. Quasi come se per lui il tempo scorresse in maniera diversa dagli altri. Un po’ quello che diceva Sant’Agostino, che pensava il tempo come una distensio animi, un distendersi dell’anima. Per il filosofo da Ippona il tempo interiorizzato è più importante di quello oggettivo. Come dire: ciò che si ha dentro, il talento, la voglia di essere ancora importanti contano molto di più di ciò che c’è scritto nella carta d’identità. Perché è solo nella propria anima che coesistono il passato, il presente e il futuro. Ed è in Totti che possiamo sempre trovare passato, presente e futuro della Roma, qualsiasi sia il futuro del capitano giallorosso. Il passato è agostinianamente il ricordo di un Totti fisicamente protagonista e trascinatore della Roma, il presente è un istante, ma dura se gli diamo attenzione: Totti è ancora essenziale. Il futuro? È attesa. Attesa di capire che uso farà Totti – e come glielo permetteranno – del suo talento a tutto tondo. Il saggio è colui che ricorda, pregusta il tempo che deve arrivare e fa buon uso del presente. Adesso, il saggio è Totti. Saggio, anche perché ha saputo sempre reinventarsi nel corso della carriera. Centrocampista offensivo, mezzapunta, centravanti e ora attaccante di scorta: Totti non si è mai dato sempre per scontato ed è stato capace di cambiare spesso ruolo.
O meglio, evolverlo, come avrebbe detto il francese Henri Bergson, per il quale l’esistenza è attraversata da uno slancio vitale, un’azione che si crea, si arricchisce e si evolve continuamente. Proprio come il capitano, pronto – magari con qualche mugugno, ma è normale – a trasformarsi ed evolversi con slancio per essere ogni volta ciò che la sua Roma ha bisogno. Perché è questo ciò che il Pupone ha sempre fatto: anteporre il bene giallorosso al suo. Altrimenti, avrebbe lasciato la Capitale molto tempo fa. E per dirla come farebbe Bergson, possiamo giudicare questa vicenda in due modi. Il primo è l’intelligenza, che però ci permette solo una conoscenza strumentale e parziale della realtà, utile all’agire ma non al capire. Il secondo è l’intuizione, che permette una conoscenza profonda e intima della cose, slegata da concetti e perciò propensa a scavare nel profondo. Ed è con l’intuizione soprattutto che bisogna giudicare Totti in questi giorni, con quell’intuizione che ti fa dire che forse Totti è ancora grande. E infine, è sempre Bergson a dire che i filosofi possono dire quello che vogliono, ma in conclusione c’è sempre una forte idea-chiave attorno a cui ruota il loro pensiero e dal quale tutto dipende: la struttura si può ridurre a uno. E secondo voi, qual è l’idea-chiave della Roma, ciò che ancora le dà un vero significato? È sempre lui, Francesco Totti.
Luca Mastrorilli