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Berisha, da Solskjær al Kosovo: un jolly di talento per la Lazio

Dal legame con la famiglia alla scelta della Nazionale: tutto sul nuovo acquisto della Lazio, centrocampista “eccitante” dal rendimento sicuro

Bastò una scintilla di talento per far scaldare la Norvegia. Berisha aveva 17 anni, giocava nel Viking e si presentò con un gol dai 25 metri. In panchina c’era Hageide, oggi ct della Danimarca: “Come Valon ne ho visti pochi”. O forse solo uno, professione attaccante, svezzato negli anni ’90 ai tempi del Molde: “Mi ricorda Gunnar Solskjær”. Non per ruolo o stile di gioco, bensì per la classe. Che è sempre stata il suo biglietto da visita fin da ragazzino, quando il padre lo portava in fabbrica insieme a suo fratello, insegnando loro i veri valori: “Piacere, Berisha”. Una garanzia.

I suoi primi selezionatori lo descrivevano come “eccitante, tecnico, rapido”. Sua madre come “il più vivace della famiglia”. Quello di oggi, Marco Rose, lo definisce un “jolly che fa gruppo, una mezz’ala di qualità dal rendimento sicuro”. Ora la Lazio e l’Olimpico. La grande occasione in uno stadio già battezzato con un gol, arrivato l’anno scorso nell’andata di Europa League contro Inzaghino. Il resto è storia nota. Berisha, invece, possiamo approfondirlo un po’ di più.

IL VALORE DELLE ORIGINI

Segni particolari? Legatissimo alla sua famiglia, ha scelto di rappresentare il Kosovo nonostante le 20 presenze in nazionale norvegese (più l’Europeo U21). Scelta di cuore per mamma e papà, albanesi-kosovari. Questione di origini. Berisha non dimentica chi è stato importante, neanche da dov’è partito, tant’è che nel nel 2011, dopo aver vinto il premio come giocatore-rivelazione del campionato, donò 50mila corone norvegesi alla società che l’aveva cresciuto. Persona d’oro. Altro esempio: a marzo, in occasione della sfida col Rapid Vienna, ha deciso di giocare lo stesso nonostante la scomparsa della nonna pochi giorni prima. Risultato scontato: 1-0, gol di Berisha e braccia al cielo. Nessun gesto, nessuna esultanza, solo un’istantanea che racconta chi è l’uomo. In campo, tra gli avversari, c’era anche suo fratello Veton, abbracciato negli spogliatoi in un terzo tempo del tutto particolare. Brotherhood. Ps: i due hanno giocato insieme nel Viking.

Valon Berisha è una persona equilibrata, seria, pragmatica. Un dettaglio: ha smesso di chiedere soldi alla famiglia a 15 anni. Sa quando è il momento di cambiare e non da oggi. A 16 anni venne preso dal Chelsea, lo cercò anche l’Aston Villa, ma decise di restare in Norvegia “per completare il suo percorso di studi”. Maturo e saggio, Hareide apprezzò la scelta e disse che “sarebbe arrivato lontano”. Profeta. Nel 2012 sposa il Salisburgo e diventa l’idolo di casa: i tifosi lo amano, gli perdonano perfino l’esultanza con l’aquila bicipite (simbolo del Kosovo). Vince 5 campionati di fila e 4 coppe nazionali da “starring”. E’ sempre il primo ad aiutare i nuovi, come nel caso di Dabur: “Ricordo i primi giorni, è sempre stato il primo a darmi consigli”. Stupisce Ulmer: “Togliergli la palla è difficile, è come se avesse una calamita sui piedi”.

RICORDANDO SOLSKJAER


Segna 45 gol in cinque stagioni e sforna 65 assist. Sessantacinque eh. Simbolo di lettura di gioco, tempismo e visione. Berisha è una mezz’ala, un centrocampista di talento che ama offendere e un po’ meno coprire, più simile a Milinkovic che a Parolo. Ha un bel tiro, completa il reparto, ha 25 anni e può giocare anche dietro la punta. L’anno scorso è stato la catena mancina in un 4-4-2 a rombo, imprendibile nei movimenti e nelle idee. Titolare nella sua miglior stagione con 13 reti totali. Ah, più la doppietta che ha eliminato il Borussia Dortmund dall’Europa League. Da greatest hits per tutta la vita. Come nel 2010, a 17 anni, quando in Norvegia rividero Solskjær, guardando Berisha.