La vita l’è Balo. In 4 minuti SuperMario conquista Monza
La prima convocazione e l’esordio dall’inizio. Solo 240 secondi dopo già la musica di Cochi e Renato dagli altoparlanti per celebrare il suo ritorno al gol. Il Monza vince e ora è a meno due dalla Salernitana
Nove mesi e 21 giorni. Il tempo di una gravidanza. Oppure di un ritorno. Da Sassuolo-Brescia a Monza-Salernitana, dall’ultima di un Balotelli triste alla prima da SuperMario. Non è stato neanche presentato alla stampa. Una sua richiesta. “Lasciamo che sia il campo a parlare”, il suo auspicio. E non solo. Ecco, stavolta lo ha fatto. Senza se e senza ma. L’infortunio muscolare di Gytkjaer gli ha dato una maglia da titolare e lui si è fatto trovare prontissimo.
Ci ha messo quattro minuti a trovare il suo primo gol in B. Un facile tocco sotto porta, ma anche frutto di un movimento da attaccante sul secondo palo. Il modo migliore per sfruttare l’assist di Carlos Augusto, terzino brasiliano che mette cioccolatini dalla sinistra. From Carlos to Mario, un asse che potrebbe dire tanto sulle ambizioni da Serie A del club. La rete si è mossa ed è partita immediatamente la musica di Cochi e Renato dagli altoparlanti dello stadio brianzolo. “La vita l’è bela”, da riadattare per stavolta in “la vita l’è Balo”. Ha esultato, a modo suo. Sorriso verso il suo “fratello maggiore” Kevin Prince Boateng, celebrazione in codice gestuale e abbracci con i compagni. È tornato e sembra felice davvero. Solo 23 giorni fa veniva tesserato, dopo essere rimasto senza squadra. “Questa è davvero l’ultima chiamata”, aveva detto Galliani. Uno che non ha mai smesso di credere nel bello e nelle storie che il calcio sa offrire. Nel gennaio 2013 aveva gioito per l’esordio con doppietta di Balotelli in un Milan-Udinese, ora fa lo stesso a qualche chilometro da San Siro e dal centro del calcio.
Era ancora un gioiello con punti d’ombra all’epoca, è una reputazione da ricostruire oggi. Missione possibile, a dispetto delle ironie di molti. Lasciamo che parli il campo però, come vuole lui. E nei 60 minuti in cui è stato in campo si è fatto sentire eccome. Vocalmente, chiedendo spesso la palla addosso, ma anche fisicamente. Un gol fatto e due annullati. Su uno di essi, anche uno scatto per attaccare il primo palo. Ha preso botte e ne ha date, sempre tra le righe, mai sopra. Ha curato ogni dettaglio, fin dall’ingresso in campo nel riscaldamento. Scarpe cambiate per adeguarsi al terreno pesante e scatti per testare la condizione. Il piede è sempre quello, basta seguirlo quando lo lascia partire da 35 metri. La voglia è sembrata quella di un ragazzino che finalmente può giocare. La rabbia dopo le parate di Vid Belec – suo ex compagno all’Inter – è quella di un attaccante che vive per la rete che si muove.
Sembra scontato, ma niente lo è stato nella sua carriera. L’aspettativa così confinante con la caduta. Finally Mario e poi solo una sigla. Il sorriso e, un angolo dopo, la chiusura. Solo lui sa cosa ha sprecato e cosa ha vissuto, forse cercando di segnare gol impossibili contro difese invisibili. Ora ha trent’anni e un fratello maggiore che lo ha preso sotto braccio. Negli auguri di Natale del Monza, Boateng guidava il pullman e caricava Mario a bordo. Metafora di un percorso da fare insieme, ripresa di un cammino già fatto al Milan. Quando hanno giocato insieme, non hanno mai perso: 16 partite, nove vittorie e sette pareggi. Mai battuti. Qualità al quadrato, una doppia B per lasciare la B velocemente. “Baloteng” funziona. Oggi come ieri. E anche se la heatmap mostra un dinamismo ancora timido di Balotelli, ciò che conta di più è vederlo attivo con gli occhi e con la testa.
In un’ora ha tirato cinque volte, protestato poco e sorriso al cambio. Non ironicamente, senza polemiche. Un cinque dato a tutta la panchina e via a fare la doccia. Perché intorno c’è la neve e lunedì 4 gennaio si torna in campo a Lecce. Niente intervista nel dopo partita, parla il campo. Lo diceva anche un altro sportivo al suo ritorno. Vestiva la 45, come lui, anche se lo fece solo per qualche partita. Aveva la maglia rossa dei Bulls e si chiamava Michael Jordan. Chissà se Mario durante il lockdown ha visto “The last dance”. Chissà se ha pensato che Brescia non poteva essere il finale. Sono bastati pochi chilometri e quattro minuti per ripartire. È solo l’inizio, l’ennesimo. Magari quello giusto.
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Foto: Buzzi