La costruzione dal basso porta davvero dei vantaggi?
I segreti e le insidie per i portieri nella costruzione dal basso raccontate da tre specialisti come Ventura, Gillet e Bucci
“Per un portiere non esiste nascondiglio”. Lo sapeva bene Brad Friedel, ex numero uno del Liverpool, ma lo hanno imparato ancora di più i tanti portieri che in queste settimane stanno facendo parlare di sé in Italia. Da Radu e Meret fino a Buffon: il fil rouge che lega questi giocatori non passa dai guantoni, ma dai lacci degli scarpini. A condannarli sono stati i diversi errori commessi durante giocate di disimpegno, che hanno rimesso alla gogna un tema molto caldo degli ultimi anni: la costruzione dal basso. Quando la modernità si scontra col dissapore di tifosi e appassionati, i dubbi sono legittimi. Vale davvero la pena costruire l’azione partendo dal portiere? Una risposta da trovare attraverso le voci di tre specialisti che, ai nostri microfoni, hanno raccontato le difficoltà tecniche e tattiche di questo stile di gioco.
Ventura: “Nel mio Bari avevo Gillet, con piedi da centrocampista”
“Per fare qualsiasi cosa, che sia la costruzione dal basso o altro, questa deve far parte del tuo modo di essere e fare calcio, non va adoperata perché lo fanno tutti”. La premessa di Gian Piero Ventura è categorica. “Il Sassuolo, ad esempio, gioca così perché fa parte del suo DNA. Però in generale le squadre devono farlo quando hanno dei vantaggi, altrimenti diventa uno scimmiottare quello che fanno tutti. Se ad esempio giochi contro il Torino di Juric che pressa alto con tanti uomini, i vantaggi non li trovi lì ma dall’altra parte del campo”.
L’ex allenatore della Nazionale conosce bene i segreti e le insidie che si nascondono dietro un possesso palla in cui la prima chiave di gioco è il portiere. Il suo Bari, nella stagione 2009/10, ha fatto scuola anche davanti alle big, portando sui campi di Serie A un palleggio frenetico e difficilmente arginabile: “Eravamo avanti rispetto a molti altri che ci venivano a prendere ma non avevano ben chiaro come farlo. Io però l’avevo già fatto tanto tempo prima, sia a Pisa che a Verona”. A consentirgli di portare la costruzione dal basso ai massimi livelli, fu l’apporto del numero uno del Bari Jean-François Gillet: “Aveva i piedi da centrocampista. Mi ha dato molto prima di tutto sul piano della disponibilità e poi per capacità tecniche. Aveva anche l’umiltà di mettersi in discussione per poter crescere”.
In un sistema di gioco così, però, non sono solo i portieri a doversi caricare ogni responsabilità. La crescita sul piano tattico passa da tutta la difesa: “Porto l’esempio di Andrea Ranocchia, a cui chiesi da subito di imparare a uscire palla al piede. La prima amichevole che facevo col Bari, in ritiro, era con una squadra di dilettanti. Ranocchia dopo 50 secondi dall’inizio si girò dalla parte sbagliata e prendemmo gol. A fine primo tempo era abbattuto, invece io gli dissi che era stato fortunato ad aver fatto quell’esperienza in una partita che non contava niente. Un mese e mezzo dopo esordivamo a San Siro contro l’Inter e lui usciva palla al piede senza problemi”.
Gillet: “I portieri non devono inventarsi niente, non tutti sono bravi con i piedi”
Rimaniamo a Bari, nel 2010, e dalla panchina del San Nicola ci spostiamo tra i pali della porta. Anche lo stesso Gillet, portiere sulla carta ma quasi un playmaker per Ventura, non vede di buon occhio la moda tattica del momento: “L’impressione è che sia diventata una cosa quasi obbligatoria. Sembra quasi un reato giocare lungo, ma bisogna alternare e saper leggere le situazioni. E’ vero che noi siamo stati i primi a farlo, ma bisognava sfruttare i momenti e dipendeva dalle giornate. Alcuni giorni dicevo a Conte e Ventura che il piede non era caldo come al solito”.
Affinare la tecnica per crescere anche sul piano tattico. È questo il segreto di Gillet e di quel Bari: “Con i piedi me la sono sempre cavata, ma allenandoci nei movimenti riuscivamo a capire come uscire dall’area in modo pulito. Ventura è stato un maestro della tattica, il migliore per me. Lui mi ha detto ‘gioca, non c’è problema’, e questo mi aiutava molto. Quando sbagli con i piedi perdi un po’ fiducia e anche la squadra lo fa”.
Adesso il Gatto di Liegi, dopo il ritiro, è rimasto nella sua città natale per fare da preparatore dei portieri dello Standard: “Quello che dico ai miei è di non inventarsi niente. Ora i portieri si sentono troppo a loro agio quando sono pressati, si sentono tutti in grado di giocare con i piedi, ma non tutti sono bravi e non tutti giocano facile“. Poi, ritornando sugli errori di Radu e Meret, Gillet non ha dubbi: “Se fai il secondo e vieni chiamato in causa devi farti trovare pronto. La fiducia però viene con le partite, se non giochi mai è dura. Adesso i portieri giocano così tanti palloni con i piedi che delle volte guardi dove devi metterla, quindi capita il liscio perché devi giocare in un tempo”.
Bucci: “Io un portiere più moderno dei miei tempi. Radu? Deve guardare avanti”
Se nel 2022 costruire l’azione partendo dal portiere può sembrare normale, lo stesso non si può dire per quanto riguarda il calcio risalente al secolo scorso. Lo sa bene Luca Bucci, che tra i pali era l’eccezione assoluta degli anni ’90: “Sono stato un portiere più moderno dei miei tempi. Quando ero giovanissimo, a Parma, ho avuto l’occasione di avere un allenatore come Sacchi che già mi faceva giocare con i piedi. Quando nel ’93 è arrivata la regola del divieto di prenderla con le mani con il retropassaggio per me fu una cosa normale”.
Come accaduto a Gillet, anche Bucci adesso lavora insieme ai portieri da preparatore. Il club? Proprio il Bologna di Sansone e compagni, la squadra che rischia di rappresentare la macchia più grande della stagione dell’Inter e di Radu: “Se Inzaghi e il suo staff hanno deciso di farlo giocare è perché avevano stima e fiducia in lui. Un errore può capitare sia se giochi tanto che poco. Bisogna avere la forza di guardare avanti, da trovare non solo dentro sé stessi ma anche in tutti quelli che criticano ciò che è successo a Radu. Soprattutto, è un ragazzo molto bravo con i piedi. Ha fatto un errore col piede più debole”. Un suggerimento finale, per guardare al futuro senza rimorsi: “Dico a Radu di andare avanti e continuare a fare quello che sta facendo. La bellezza di questo ruolo è la responsabilità che ti dà, bisogna saperla affrontare e gestire”.