Il 13 al Totocalcio fa 70. Cucchi e Pizzul: “Un fenomeno culturale e sportivo”
Il 21 gennaio 1951 il Totocalcio cambiò per sempre con l’introduzione del 13. Un fenomeno culturale raccontato, ai nostri microfoni, e vissuto da due protagonisti del giornalismo sportivo italiano: Bruno Pizzul e Riccardo Cucchi
Il 13 fa 70… anni. Tanto tempo è passato da quel 21 gennaio 1951 quando al classico sistema del Totocalcio, inventato da Massimo Della Pergola nel 1946, venne aggiunta una tredicesima partita. Era il concorso numero 20 della stagione 1950-51, un giorno indimenticabile che fece diventare le scommesse calcistiche un fenomeno di massa. Era l’anno del primo Festival della Canzone Italiana a Sanremo (vinse Nilla Pizzi con Grazie dei Fiori) e l’Italia era in preda alla protesta popolare contro il governo De Gasperi, favorevole alla politica del riarmo. Sono anni difficili e il Totocalcio diventerà il “sogno” per molti di cambiare la propria vita con poche lire.
“Non è un infarto, ho fatto 13”. Lino Banfi nel film del 1983 ‘Al Bar dello Sport’ rappresentò in maniera perfetta l’ansia del 13 e il conseguente cambiamento, nel proprio stile di vita, che un 13 al Totocalcio potesse portare ad una persona. Raggiungere il mitico traguardo di tredici risultati su tredici indovinati non era facile e spesso, quando capitava, bisognava dividere il montepremi con altri fortunati vincitori. Un sogno fomentato 70 anni fa anche dal lancio accattivante con cui venne presentato a milioni di italiani: “Quote più elevate nei concorsi popolari. La scheda a 13 vi porterà fortuna!”.
E il Totocalcio era davvero così: fortuna ancora prima che logica. Ha segnato un’epoca, quella della ricostruzione italiana nel dopo guerra, e rilanciato lo sport nella nostra Penisola. Tanti gli impianti sportivi, e non solo, finanziati dai proventi del Totocalcio in un’epoca in cui non esistevano diritti televisivi e dove le uniche entrate per le società erano i soldi dei biglietti acquistati dai tifosi per assistere alle partite allo stadio. Il CONI rilanciava lo sport, gli italiani sognavano il 13, magari con un “Carrarese-Pro Patria X”.
Un fenomeno culturale che hanno raccontato anche grandi protagonisti del giornalismo italiano. La loro voce è stata spesso la colonna sonora dell'ansia popolaree mentre con la penna si spuntavano i risultati ‘azzeccati’ sulla schedina del Totocalcio.
Pizzul: "Il 13? Un sogno. Se lo facevi era meglio nasconderti"
Bruno Pizzul e Riccardo Cucchi, ai microfoni di gianlucadimarzio.com, ci hanno raccontato cosa rappresentasse “fare 13” per le famiglie italiane. Da chi ne ha vissuto la nascita e l’esplosione, come Pizzul, a chi come Cucchi è cresciuto accompagnato dal mito del 13.
“Sono stato coinvolto come tutti nell’interesse per quel tipo di pronostico che catturò l’interesse, le speranze e la fantasia di tutta l’Italia. Era un tipo di pronostico molto facile e intuitivo. Fu inventato da Massimo Della Pergola, triestino come me”. Racconta Pizzul “Aveva iniziato a concepirlo in Svizzera, dove aveva dovuto trasferirsi perché ebreo.
Io fui coinvolto dal Totocalcio perché alla Rai per un certo periodo, a Sport Sera, facevamo ogni settimana una specie di pronostico/guida per i tifosi e quindi anche noi giornalisti eravamo coinvolti a preparare una scheda in cui c’erano 4/5 fisse e una tripla. Il più delle volte si finiva a prendere insulti dai tifosi perché non prendevano mai il pronostico suggerito da noi giornalisti. Certo abbiamo fatto qualche 13, ma non erano vincite alte, li facevamo basandoci sulla logica dei dati oggettivi e, quindi, non era facile vincere o far fare un 13 elevato. Mi ricordo però che quando c’erano vincite grosse ci sguinzagliavano alla caccia del fortunato o della fortunata. Se vincevi era meglio che ti nascondessi.
È stato un qualcosa che ha consentito allo sport italiano di vivere a lungo una vita dignitosa. Un terzo dei proventi venivano destinati proprio al sovvenzionamento dell’attività sportiva del Coni. È stato un periodo durato a lungo e che poi si è inaridito, sostituito da altri tipi di scommesse, ma nessuna di queste ha avuto l’incidenza culturale del Totocalcio. In tutto il mondo il sistema italiano era considerato un sistema virtuoso, positivo”.
Cucchi: "Cosa significava fare 13? Significava cambiare la propria vita, uscire dalle sabbie mobili delle difficoltà"
Riccardo Cucchi, invece, non ha visto nascere il Totocalcio, ma è cresciuto nel mito del 13 diventando poi una delle famose voci che hanno scandito le domeniche degli italiani, incollati alla radio con la speranza di sentire leggere la fortunata combinazione: “Il Totocalcio ha accompagnato la mia adolescenza, è stato il patrimonio culturale delle famiglie italiane. Non esisteva campionato senza la schedina del Totocalcio. Molti genitori il sabato avevano questo rito di andare con i figli, e io ero uno di questi, in Tabaccheria. Lì si compilava la schedina e si metteva poi in tasca la matrice coltivando il sogno di cambiare la propria vita. La cosa bella era che era semplice: tre simboli 1 (vittoria in casa), X (pareggio) e 2 (vittoria in trasferta).
La domenica era questa: radio accesa, Tutto il calcio minuto per minuto, il papà con la schedina e una penna in mano per sognare quel 13 magico che avrebbe potuto cambiare una vita di sacrifici e lavoro. Credo che in qualche modo il calcio sia stato reso ancora più polare da questo gioco. Ho conosciuto qualcuno che abbia fatto 13? Non ne ho mai avuto la fortuna, non era facile. Raggiungere il dodicesimo risultato utile o il tredicesimo era veramente difficile. È un po’ la dimostrazione di quanto possa essere davvero imprevedibile il calcio. Impronosticabile. La schedina aveva davvero poche cose in comune con la logica: se la prima in classifica dovesse sempre vincere sarebbe davvero facile scommettere e vincere. Credo che questa componente di imprevedibilità ne abbia aumentato la diffusione.
Cosa significava fare 13? Significava cambiare la propria vita, uscire dalle sabbie mobili delle difficoltà delle famiglie degli anni ’60. Era un’Italia povera e ancora in costruzione dalle distruzioni della guerra. Era un’Italia che faticava, le famiglie faticavano a portare a casa il lavoro e il pane per i propri figli. Il Totocalcio fu una speranza: la speranza di cambiare la propria vita attraverso la passione per il calcio spendendo pochissimo, una cifra molto bassa: probabilmente al di sotto dell’euro.
Anche per questo, credo, sia diventata così popolare. Era un sogno, il sogno di vincere spendendo poco senza incidere sul bilancio famigliare. Su questo sogno si sono costruite tante storie: mio papà, ad esempio, giocava due schedine. Una era quella legata alla logica del pronostico e l’altra, invece, la ripeteva sistematicamente tutti i sabati con una logica di simboli che era tutta sua. Non era legata alle partite nella schedina, ma alla scaramanzia e alla totale casualità”.