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Oggi 35, per sempre 22. Auguri Kakà, “genero ideale” in Smoking Bianco

“Passamela Rico!”. Ricardo e Rodrigo, 8 e 11 anni, giocano a calcio in giardino. Mamma Simone si affaccia dalla finestra, esasperata: ‘Rodri, dillo bene…’. Rodrigo non riesce a pronunciare il nome del fratello:Kakà, meglio così?’. Ricardo se la ride, ha un carattere d’oro. Zazzera mora, faccia da bravo ragazzo, gioca nel San Paolo e dà spettacolo. Gracilino, ma già fantasista. Un soprannome gli serve, in Brasile è tradizione. ‘Kakà, mi piace dai’. Alla fine piacerà a tutti. Ricardo Kakà, 35 anni oggi, forse non bastano gli encomi. Piuttosto un racconto per spiegare ciò che è stato, ciò che ha rappresentato e ciò che continua ad essere, nonostante il tempo abbia fatto il suo dovere. Scorrere. Sbiadito mai, però. Specie per il Milan. Ma soprattutto ciò che resterà della sua poesia calcistica, perché nomi come il suo continueranno a vivere nei cuori di chi li ha vissuti, tramandandone il ricordo. Inchiostro nero sulla storia, indelebile. Molte pagine le ha già scritte lui. Si parte da un dettaglio: il sorriso. Presente ancor prima di ogni giocata, di ogni dribbling, di ogni singola rete o progressione. Felicità e gioia pura, la normalità di un ragazzo replicata in due piedi da fuoriclasse che di normale avevano ben poco. Tre le città del suo cuore: San Paolo, Milano, Madrid. Da due anni c’è anche Orlando ma non è la stessa cosa. E lui lo sa.

Sbarcò alla Malpensa nel 2003 con occhiali da ingegnere e capelli pettinati. Sembrava stesse andando alla Bocconi. Galliani, ancora oggi, rivendica l’acquisto: “Non avevamo il posto libero per l’extracomunitario, quindi ebbi il merito – e me lo prendo! – di aver ceduto Mohammed
Aliyu allo Standard Liegi. Se non ci fosse stata questa cessione non
sarebbe mai arrivato
Kakà…”. Scetticismo iniziale però, perché nel CV c’era “soltanto” un Mondiale vinto da riserva. Ma lui, zitto, fece parlare il campo. Bastò una partita con l’Ancona per far ricredere i detrattori. Stop di coscia, sombrero, progressione e lancio ad occhi chiusi. Ricardo Kakà riassunto in 40 secondi di genio. In una Gif. Eleganza e classe, diventerà Smoking Bianco. Manca una cosa però: l’esultanza, chiarificatrice di una personalità unica. Occhi chiusi e braccia al cielo. Qualcuno si deve pur ringraziare per quelle doti. E Kakà ha scelto il Signore. Tutto iniziò a 18 anni, quando si fratturò una vertebra del collo dopo una caduta in piscina. Rimase fermo diversi mesi, i medici gli dissero che non avrebbe più giocato. Falso. Fu un miracolo, ma da quel giorno, dopo ogni gol, Kakà ringrazia Dio per averlo salvato. Al Milan vince tutto, anche il Pallone d’Oro. Ancelotti ne glorifica l’impeto offrendogli libertà d’inventare. Inzaghi ancora lo ringrazia per i tanti assist e il filtrante nella finale contro il Liverpool; mentre Berlusconi lo definì il “genero ideale”. Definizione curiosa, reazioni in casa-Kakà: “A me ha fatto
piacere, a mia moglie un po’ meno, soprattutto quando il presidente ha
aggiunto: ‘Peccato che sia già sposato”.
Nel mezzo, segna gol stupendi (Man United, Fenerbache), vincendo una Champions da protagonista. Stecca in Nazionale, dove non riesce ad esprimersi come dovrebbe. Poi nel 2009 sbarca al Real insieme a CR7. Qualcosa cambia, perché a Madrid se non sei galattico i tifosi borbottano. Kakà è una sorta di antidivo: mai un eccesso, mai una protesta, zero discoteche, pochi lussi e tanto impegno. “In effetti ogni tanto i miei colleghi pensano che io sia strano”. Qualcosa non gira, gli infortuni gli precludono diverse stagioni e il sorriso svanisce. Ma ecco la svolta: certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano (cit).

Forse Kakà non ha mai ascoltato Venditti, ma tra sirene di mercato e tuffi al cuore capisce che è giunto il momento di lasciare Madrid. Torna al Milan, sventolando fiero la 22 dal balcone della società. Finisce l’opera poi, siglando anche il 100esimo gol in rossonero. Il sorriso c’è ancora, il talento anche. Gli occhiali da ingegnere, invece, non ci sono più. Arrivò ragazzino, forse se ne andò troppo presto. Tornò, infine, per risentirsi ancora bambino. Ora gioca in Mls, si son perse un po’ le tracce. Ma il ricordo però, quello no. Come il cuore rimasto in Italia: “La saudade per il Milan non passerà mai…”. Oggi la 10 dell’Orlando City, domani chissà. Classe immutata, come quella dei bei tempi, al pari di quel sorriso che ne scandisce ancora i gol d’autore. Non è ancora finita, badate bene. Il cilindro è ancora pieno di sorprese, la bacchetta intrisa di magia. E finché Riky continuerà a segnare ci sarà sempre il solito coro: “Siamo venuti fin qua, siamo venuti fin qua…”. E il resto potete aggiungerlo da soli.