Tutto può cambiare… nella tratta di una funivia. Dolomiti trentine, tragitto Colverde-Rosetta. Al cellulare Luigi Fresco - presidente della Virtus Verona - e il ds dell’Entella Matteo Superbi. Argomento della discussione: l’acquisto di Andrea Magrassi. Un accordo trattato a 2000 metri di altitudine e concluso in dieci minuti; senz’altro pochi, ma forse sufficienti per cambiare una storia. La storia di un talento sul quale tutti avevano smesso di credere.
Figlio d’arte, il piccolo Andrea ha il calcio nel DNA. Juventino, cresce con il mito di Roberto Baggio, che pochi mesi dopo la sua nascita alza al cielo il primo titolo della sua carriera - la Coppa UEFA - con la maglia bianconera. Stesso ruolo, altre caratteristiche: alto, veloce, tiro potente. Si trasferisce al Brescia, dove se sei slanciato, ti chiami Andrea e sai buttarla dentro vieni etichettato come “il nuovo Caracciolo”. I due saranno anche compagni di squadra. L’unico, precoce flash in Serie B arriva a 18 anni: 31 minuti giocati indossando la maglia numero 31. Attimi indelebili, impressi nella memoria finché quel “31” diventa anche un tatuaggio: “Ne ho molti, ognuno con un significato”. L’inchiostro è inutile, invece, per tatuare il 2: sono i milioni necessari alla Sampdoria per prelevarlo nel 2012, quando inizia una serie di prestiti, dalla C1 al Portogallo, che porta Magrassi nel fondo di un imbuto apparentemente impossibile da risalire.
“Dopo l’esordio in B, mi compra una squadra di A e mi ritrovo in C1. All’inizio non volevo andarci, in realtà scoprii di non esser pronto: fu uno scotto mentale”. A complicare le inattese difficoltà iniziali si aggiunge un’errata diagnosi medica: “Un banale infortunio al menisco fu scambiato per la lesione del collaterale, persi sei mesi”. Peccato, perché Magrassi passò dal segnare al Foggia di De Zerbi alla seconda serie portoghese. Oltre 2000 km di distanza da casa, ecco il vero turning point della sua carriera: “Venivo continuamente sballottato, come un pacco. Ho pensato di smettere. Tornai in Italia tra i dilettanti per darmi l’ultima possibilità”. Pronti, via: Operazione Rinascita. Valanghe di gol in Serie D e il nome di un ritrovato Magrassi torna a fare gola: “Sono contento di non aver mollato quando tutto sembrava nero”. Su di lui piombano Cittadella e Livorno, ma preferisce scalare un gradino alla volta: “Sapevo cosa scegliere: al ritorno in C ho capito che potevo ancora incidere ad alti livelli”.
Non fu il solo a capirlo. Dentro la cabina che sta portando la Virtus Verona in ritiro a Cima Rosetta, Luigi Fresco è pronto a puntare tutto sul ragazzo di Dolo. Mai scommessa fu più azzeccata: bastano 9 partite all’ex Brescia per superare il suo record di reti in una singola stagione professionistica (5). “La gente mi ha sempre detto: “sei bravo ma devi metterci più cattiveria”. Quest’anno mi sento “cattivo” al punto giusto”. Chissà da dove proviene tutta questa forza. Il primo gol Magrassi lo segna al debutto, lasciandosi andare in un’esultanza molto toccante: braccia in alto e sguardo verso il cielo. “Ho perso il padre a metà giugno. Penso a lui ogni giorno, vorrei fosse qui a vedermi”. Paolo era una celebrità del calcio veneto. Il suo sogno, vedere Andrea giocare nelle grandi categorie: “La mia passione è nata da lui. Ero il suo pupillo, mi diceva di essere sempre professionale”. Voleva spingere il figlio laddove lui non arrivò: “Esordì in D a 16 anni, lo voleva il Genoa in A ma rimase tra i dilettanti. Era un fenomeno, lo chiamavano “cavallo pazzo”: passava sotto la tribuna e chiedeva chi volesse scommettere 100.000 lire per un suo gol. Se qualcuno accettava stai certo che avrebbe segnato”.
Anche Andrea è diventato padre, 6 anni fa. Il figlio Gianluca gioca a calcio: “Era legato al nonno. Crescerà con i suoi insegnamenti, ma io sarò meno ferreo di mio padre: a 14 anni non potevo andare ai compleanni se il giorno dopo c’era una partita”. Insieme a loro, immancabilmente, Veronica: conosciuta ai tempi delle superiori, lei supplente e lui studente. “In tre mesi di corteggiamenti ottenni un “Ciao”… adesso siamo inseparabili”. Uniti hanno affrontato sballottamenti, traslochi e periodi difficili ma ora, in quel di Borgo Venezia - quartiere di Verona dove abitano - hanno trovato stabilità. Sembrano lontanissimi i tempi in cui Magrassi si chiedeva se continuare a giocare a pallone. Oggi sta vivendo il miglior momento della sua carriera, tra molti sorrisi e un solo, piccolo rimpianto: “Ho perso tempo ad ascoltare chi diceva che non ce l’avrei fatta”. Magari Magrassi non varrà quei 2 milioni. Ma in quella funivia sulle Dolomiti trentine, dondolante verso Cima Rosetta, il suo destino si è completamente rivalutato. Negli anni si è allenato ad atterrare, aspettando il suo turno per il salto verso l’alto. Con la certezza che lassù, ancora più su, ci sia qualcuno pieno di orgoglio a guardarlo…
A cura di Elia Faggion