Jairo Concha è uno di quei ragazzi tutto casa e calcio. H24. Da piccolo rimaneva incantato davanti alle partite di Bundesliga e Premier per capire i movimenti dei giocatori. Ore e ore insieme al nonno Ermilio. A 15 ha iniziato a seguire anche le interviste a giocatori e allenatori.
Il Sub20 con il Perù è la sua vetrina per il grande salto. L'Universitad San Martìn già rassegnata a perderlo: "E' probabile che vada all'estero". Prezzo del cartellino già fissato: milione e 200/500mila dollari. L'unica speranza è che si alzi un po' durante il torneo. L'anno scorso è stato votato "Giocatore Rivelazione", da quelle parti sono convinti: "Non abbiamo mai visto un giocatore così forte".
Il ct della nazionale maggiore Gareca lo tiene sott'occhio e l'aveva chiamato per giocare qualche amichevole con i grandi in vista del Mondiale in Russia. Lì dove c'erano i suoi idoli Messi e Cristiano Ronaldo. Mica male.Difetti? Uno c'è: è troppo gracilino. Tanto che Cuenca segue una dieta particolare su richiesta del ct.
Ma la svolta per il classe '99 è arrivata nel 2012, quando è stato inserito insieme ad altri 29 ragazzi nelle giovanili dell'Universidad per uno stage. Superato, a pieni voti. Con l'allenatore di allora Guillermo de Solàr che ha spinto per averlo in prima squadra e nel febbraio 2017 lo ha fatto debuttare a 17 anni e mezzo.
Dottore mancato, ha abbandonato l’università di San Martìn de Porres quando le lezioni si accavallavano agli allenamenti: “Ma vorrei ricominciare a studiare”. Passione e sacrifici. Da sempre.
Scuola-allenamenti-casa. E da lì non si scappava. Cueancha spesso non aveva neanche il tempo di pranzare prima di andare al campo. Dormire? Non c'era tempo. Così sfruttava i momenti morti della giornata. Durante il viaggio Santa Rita-San Martin per esempio: un’ora e mezza di pullman per ricaricare le batterie prima di iniziare l’allenamento.
O magari sul banco di scuola, durante qualche lezione quella matematica che proprio non digeriva: “Ma i professori non erano d’accordo”. E allora copiava dal vicino di banco. Lo capivano di più i suoi allenatori, che chiudevano un occhio se arrivava in ritardo al campo. Un su e giù continuo con mamma Sarita che moriva dall'ansia. Ecco perché gli comprò il primo cellulare.
A 14 anni la voglia di mollare tutto
Da piccolo prendeva a calci qualsiasi cosa si trovava davanti. Predestinato. Ma a 14 anni la voglia di mollare tutto: “Non venivo considerato, nonostante tutti gli sforzi che facevo”. Frustrazione e delusione per il piccolo Concha.
Ma papà Wilber era convinto di avere un campioncino a casa e l’ha convinto a non mollare: “Mi ha abbracciato piangendo, dicendomi che avrei avuto un grande futuro”. Intuizione giusta, sesto senso da genitore. Wilber figura fondamentale nella vita di Jairo: “Parlai con lui quando decisi di farmi un tatuaggio”. Non cede alle provocazioni e segue i consigli del padre: Quando capita li ignoro”.
Pepe Espinoza fu il primo a schierarlo trequartista nelle giovanili dell’Universidad San Martìn. E da lì non si è più spostato. Intelligenza tattica, cerca sempre di anticipare la giocata dell’avversario. E quando sbaglia, si analizza: “Il club mi invia i video delle mie partite e io mi rivedo per cercare di capire cosa non è andato”.
Calcio, calcio e calcio. Nella vita di Concha gira tutto intorno a quel pallone: “Forse dovrei seguire più la politica per capire come sta andando il Paese”. Nel tempo libero joystick e Play. Gioco? Neanche a dirlo, Fifa. Sfide infinite col compagno Marcos Lopez. Psg-Man Utd. Casa e calcio. Da sempre. Ma ora il protagonista è lui.