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Data: 01/11/2018 -

Srna, storia di una felicità ritrovata: "Cagliari unico club che mi ha davvero voluto"

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Il terzino rossoblu racconta la sua incredibile storia, dalle guerre alla squalifica per doping: "Inter, Barça o Chelsea? Uno deve andare dove gli dice il cuore".
Il terzino rossoblu racconta la sua incredibile storia, dalle guerre alla squalifica per doping: "Inter, Barça o Chelsea? Uno deve andare dove gli dice il cuore".

Anni di sgroppate sulla fascia destra, con un piede educatissimo e più volte capace di far male anche ai portieri avversari, e più di 500 partite giocate in carriera per mettersi alle spalle, continuamente, momenti di una vita che semplice, sin dall'inizio, non lo è mai stata. Darijo Srna è a tutti gli effetti un personaggio storico: colonna di una nazionale croata della quale è stato simbolo per anni, uomo d'esperienza e dalla pelle segnata da storie forti, dure da superare. Speciali, nel segno del concetto di conflitto: partendo da quello vissuto nella nascente Croazia, seguito dai dissapori tra Russia e Ucraina, concluso con l'ingiusta squalifica commiata per doping: temi, almeno per quanto concerne le prime due situazioni, ben lontani dal campo calcistico, ma finiti inevitabilmente per coinvolgerne la vita da comune e da calciatore.

"Ci hanno detto dateci la vostra macchina, dateci le chiavi - racconta il calciatore del Cagliari a "La Gazzetta dello Sport" - siamo andati alla Polizia che ha fatto finta di niente. Avevo un fratello con dei problemi, bisognava accompagnarlo in una scuola speciale, non potevamo stare senza macchina. Mia madre ha fatto le pulizie, ha spalato la neve, facevamo il possibile per racimolare soldi e comprarne un’altra. A Donetsk, invece, uscivamo e non vedevamo niente, non cadevano bombe intorno a noi. Ma la gente del Donbass soffriva e gli ultimi 4 anni sono stati difficili. Tanti voli da prendere, giocavamo sempre fuori casa. E il calcio senza tifosi non esiste". Poi, la condanna per doping, apparente colpo d'ascia su una grande carriera: "L’ho provato alla Wada, sono innocente. E infatti ho avuto la pena minima, 17 mesi, fossi stato davvero colpevole avrei avuto una squalifica molto più lunga".

Per Srna, invece, è arrivato il Cagliari. E il lieto fine di una vicenda complessa: "Il presidente Giulini mi ha voluto come sono. Gli amici mi dicono: 'Darijo, ma ti rendi conto che la gente paga per vivere in Sardegna e invece ti pagano per stare lì?'. Maran mi ha convinto a partire per la Russia mentre eravamo in ritiro, per assistere alla finale del Mondiale: è una persona speciale e ha capito che per me era importante. Mi chiamavano tutti i giorni, ma per me era una pena, dicevo: 'Vengo se andate in finale', ci sono arrivati e sono andato. Un risultato splendido ottenuto anche con un po’ di fortuna. Secondo me in altre occasioni abbiamo giocato meglio, ma la finale in Russia è stato un momento fantastico per tutta la Croazia".

Stringere i denti: naturale per chi ha vissuto due guerre. "Avevo perso tutto in un attimo - ammette Srna - prima il doping e la squalifica, e mi cade il mondo addosso. Poi il presidente Akhmetov dello Shakhtar che mi dice che non mi rinnoveranno il contratto, ed è un altro pugno in faccia. Lo capisco, fa il suo lavoro, lo Shakhtar è il mio amore, so che deve crescere dei giovani. Io però avevo comprato una bella casa a Donetsk, il presidente aveva aperto una scuola internazionale dove andavano i miei bambini. In un soffio, tutto sparito. Ero a pezzi. La squalifica è stato il momento peggiore della carriera, ma sono robusto. Quel che non ti ammazza ti fortifica. Mio padre ha attraversato tre guerre: quando ero bambino, in Croazia, avevo paura tutti i giorni. Faceva il fornaio, usciva per portare il pane alla gente che non poteva andare nei negozi. Noi lo guardavamo partire e non sapevamo se sarebbe tornato. Quel che sono lo devo a lui, ma sono grato anche a Lucescu e al suo vice Nicolini che mi hanno trasformato in un terzino. Sono grato a Guardiola che ha avuto un problema con il doping simile al mio e mi ha spinto a lottare. Mi diceva 'Fallo per il tuo nome, per i tuoi figli. Nel calcio non esiste il doping, esistono gli errori'. Mi ha aiutato molto, come Boban, Stanic, Modric, tanti altri giocatori ed ex giocatori che mi sono stati vicini. E Mario Mandzukic, logicamente. Un campione e un grande amico".

Che ritroverà sabato sera, nella sfida dell'"Allianz Stadium" contro il Cagliari: "Mi ha detto che sabato vuole giocare a sinistra. Io gli ho risposto: 'Peggio per te, non ti farò toccare palla'. C’è grande amicizia fra di noi, anche con Modric. Loro chiamano, i miei figli rispondono al telefono e si mettono a parlare. Ho giocato nella Croazia 15 anni, ho visto passare tanta gente. Li ho visti arrivare giovani e poi me ne sono andato dopo Euro 2016. Avevo perso mio padre, non era un bel momento. Ma con la nazionale mi sono preso tante soddisfazioni e ho salutato quando era giusto farlo. Mandzukic ha raggiunto il massimo, che cosa potrebbe ottenere più di una finale mondiale? Lascia al top e si dedica alla sua carriera nel club più forte. Credo che la Juventus abbia il passo per vincere la Champions, e di certo il campionato. Non c’è solo Ronaldo, ma tanti altri giocatori chiave: Chiellini è il numero uno in Italia".

Si torna a Cagliari, e al perchè di una scelta sorprendente ma allo stesso tempo logica: "E' l’unico club che mi ha veramente voluto. Inter, Barça e Chelsea? Uno deve andare dove gli dicono il cuore e la testa. Prima di decidere ho preso informazioni. Giovanni e Giacomo Branchini, che non sono i miei agenti ma amici, mi hanno parlato dell’ambiente: poi mi ha chiamato Pavoletti, che mi piace molto. Ama scherzare, come me, ed è un grande attaccante: non mi permetto di entrare nel mestiere di Mancini, ma meriterebbe una chance in Nazionale. Vi manca il bomber? Eccolo. E Barella in un paio d’anni diventerà il leader degli azzurri".

E in futuro, cosa vede Darijo Srna per se stesso? "Un po’ di pace. Ho provato a trovare il lato buono anche nella squalifica. Non avevo mai fatto vere vacanze e ho potuto riposarmi. La mia vita è stata piuttosto stressante. Ma poi mi guardo indietro e penso: in Croazia sono venuti a confiscarci la macchine, ora ne ho due e un’altra bella casa, quindi ho vinto la mia guerra. Sono un lottatore, mia moglie pure. E’ più ambiziosa di me e per mia figlia ha voluto una scuola a Londra, quindi ora fanno la spola fra Sardegna e Inghilterra. Ora, mi definisco come quello che ero da ragazzo, come dicevo di mio padre: uno che combatte. Non mollo mai e senza l’insegnamento di mio padre non sarei quello che sono. Quando venivano a cercarmi gli osservatori diceva: mio figlio non si compra con i soldi. Mi sono trasferito all’Hajduk perché Stimac, un amico di famiglia, lo ha convinto. All’inizio è stato difficile, però come avrà capito nella mia vita non c’è stato niente di semplice. E ora mi trovo in quest’isola piena di luce, con un pubblico splendido. Negli ultimi anni passati in esilio lo Shakhtar giocava nel deserto: quando entro i campo e vedo lo stadio pieno mi si allarga il cuore. Mi sembra di tornare indietro di dieci anni".



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