C’è una cosa che i miei genitori non hanno mai smesso di ricordarmi, nonostante il sogno a 17-18 anni si era fatto molto più realizzabile del previsto: lo studio.
La scuola era la priorità assoluta quindi e mi ripetevano sempre che quello fosse il patto per cui io giocassi.
Avete presente quegli accordi che prendi con i tuoi genitori per ottenere qualcosa ma di cui una volta ottenuta dimentichi totalmente l’esistenza?
Ecco è andata più o meno così, ma non smetterò mai di ringraziarli.
Il fatto che calciatori e scuola facciano a pugni è il principale luogo comune ma purtroppo la situazione è esattamente come la si immagina, anche peggio forse.
Già perché in un gruppo standard di una squadra Primavera la grande maggioranza dei ragazzi o ha lasciato la scuola o “segue” licei online su cui non voglio dilungarmi.
Nel migliore dei casi alcuni frequentano scuole private, a tutti gli effetti affiliate con la società, che senza girarci intorno, chiudono un occhio fino al loro diploma.
A livello Primavera ho incontrato solo due eccezioni che frequentavano un liceo pubblico, io invece ero un alieno.
Ho studiato al classico e mi sono diplomato regolarmente, anzi grazie alla primina di fatto ho finito con un anno di anticipo; suono la chitarra e nel tempo libero disegno e scrivo poesie.
Inutile dire che nello spogliatoio ero “quello strano”, ma sono stato chiamato anche l’artista, il poeta, il genio, un po’ di tutto ma sinceramente ne andavo fiero.
Il fatto è che frequentare la scuola non solo permette di ampliare la propria cultura ma soprattutto ti regala nuovi interessi, ti apre gli occhi al mondo ed è questo l’aspetto fondamentale.
Nello spogliatoio mi veniva chiesta qualsiasi cosa: “Te che sei intelligente risolvi questo indovinello”,”Te che vai a scuola dicci chi è più alto”.
Ricordo un mio compagno una volta che non riusciva neanche a leggersi la busta paga e mi guardò chiedendomi se i soldi entravano o uscivano.
La cosa mi faceva ridere ma ogni tanto davvero mi fermavo a pensare, e gli auguravo con tutto il cuore di riuscire con il calcio, non avevano altro, e cosa ancor più triste molti non erano altro.
La verità però è che alla base di questo problema c’è un oggettivo disaccordo tra “i due mondi”, come se l'uno non prevedesse l’altro.
Quando inizi a giocare qualche società per i primi anni chiede le pagelle, ti dice che la scuola è al primo posto, ma la verità è che purtroppo non interessa a nessuno e con il passare degli anni e l’inizio del liceo, quando l’obbligo sociale di apparire pro-scuola finisce, nessuno la calcola più e la domanda passa da “ma vai bene a scuola?” a “ma tu lo vuoi fare il calciatore?”.
Magari bastasse solo la forza di volontà per farlo.
Allo stesso modo però se da una parte il calcio e lo sport ad alti livelli in generale non considera la scuola una priorità per i ragazzi, dall’altra la scuola stessa disincentiva e contrasta qualsiasi forma di attività extrascolastica ed il calcio è al primo posto della lista nera per i professori.
Probabilmente si potrebbe fare un libro solo con le battute e i trattamenti che mi hanno riservato alcuni professori l’anno della mia maturità.
Quello era il mio primo anno di Primavera che mi costringeva ad uscire tutti i giorni un’ora prima e tornare a casa alle 7-8 di sera, saltavo tutti i sabati per le partite e un venerdì si uno no per le trasferte.
Ogni tanto ci allenavamo di mattina anche durante la settimana, per non parlare della settimana di Viareggio e quella delle finali nazionali che finiscono regolarmente pochi giorni prima della prima prova di maturità.
Avevo esaurito il limite di assenze già a marzo probabilmente, infatti devo ringraziare la preside per aver accettato di chiudere un occhio sulle assenze già ad inizio anno, e per aver fatto considerare i risultati scolastici come unico parametro per la mia valutazione.
Mi sono sempre chiesto se la scuola italiana si renderà mai conto di quanto la cosa sia nociva per se stessa. Accompagnare la scuola con un’altra attività seria obbliga lo studente ad organizzarsi, ad acquisire da solo il famoso “problema” del metodo di studio per ottimizzare i tempi.
Avere un’alternativa, o semplicemente un posto dove poter evadere totalmente fa la differenza.
Una volta ho letto che l’evento storico più rilevante in America che ha permesso l’emergere delle donne in politica, è stata la legge che ha aperto alle donne la pratica sportiva agonistica nei licei, senz’altro una considerazione che fa riflettere se pensiamo che invece ancora oggi in Italia più vai avanti nello sport più per la scuola diventa un problema.
I miei compagni non avevano altro e cosa ancor più triste non erano altro, io, ho sempre portato avanti nella mia testa la possibilità di un’alternativa come paracadute; io, avevo altro, ma forse ero troppo.
Nella mia testa è sempre stato o tutto o niente, e per anni il calcio è stata la mia via di fuga, il mio sogno come alternativa, il mio sogno per essere diverso.
Ma allora quand’è che ho iniziato a sentire il bisogno di evadere dal calcio? Quando ho iniziato a sentirmi un estraneo nel mondo per cui io stesso avevo lottato?
A volte mi chiedo se sarebbe andata diversamente se anche io non avessi avuto alternative che mi facessero guardare a tutto in maniera un po’ più razionale, se anche io come i miei compagni non avessi avuto un’altra prospettiva da cui guardare le cose.
Essere romantici e sognatori è bello ma ancor più che la matematica che ti insegna la scuola, è la razionalità a non essere un opinione: e la razionalità dice che meno dello 0,6% dei bambini che iniziano a giocare a calcio farà del pallone la sua vita.
La razionalità ti insegna che la vita è fatta di tante piccole scelte che determinano e disegnano quello che sei e che scuola e sport semplicemente non dovrebbero essere così presto una di queste, non prima di diventare professionisti almeno, non se una scelta la hai.
Per poter finalmente essere liberi di godersi entrambe, per essere liberi di seguire le proprie passioni, per poter far si che ogni bambino che si innamora del suo primo pallone, possa amare il viaggio prima ancora dell’arrivo.