“Ma tu non ridi mai?”. Glielo hanno chiesto in tanti, chissà quante volte ha alzato gli occhi al cielo di fronte a quella frase. “Rido quando serve. Se no, preferisco stare zitto”. È laconico, ma c’è chi preferisce definirlo pragmatico. Andrea Pirlo del resto è sempre stato così, fin da quando era piccolo. Guardate le figurine, anno dopo anno: stessa espressione, sempre. Dal Brescia al New York City. Sguardo dritto, bocca ferma. Se fossimo in un romanzo di Pirandello, parleremmo di “maschera”, lo scudo di chi non vuole far sapere troppo di sé. O di chi vuol far avere una precisa immagine di sé. Questione di sfumature, che nella vita di Andrea hanno contato eccome, giocata dopo giocata.
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Brescia, Milan e... Mondiali
È un talento già nel ‘95, quando esordisce con il Brescia. Lo vuole l’Inter: “Sei un buon trequartista”, gli dicono. Trequartista? Eh sì, perché la prima maschera che indossa è quella: dietro alle punte. Nel 2001 Galliani ha l’intuizione: lo porta al Milan in cambio di Brncic, meteora su cui non ci soffermeremo. Adriano fa l’assist, Carlo (Ancelotti) segna. È l’allenatore di quella squadra, che si trova senza centrocampisti per infortunio: “Andrea, te la senti di andare qualche metro più indietro?”. “Va bene”, risponde. Senza troppa enfasi, come sempre. È la svolta della carriera.
Non stiamo a ripercorrerla tutta, ma lavoriamo a flash. A proposito di maschera: una volta l’ha tolta, era nel 2006, ve lo ricordate? Vittoria dei Mondiali. Le immagini sono due: Grosso che segna il rigore e Pirlo che gli corre incontro. Un urlo al cielo, da brividi. “Ero talmente frastornato che gli ho dovuto chiedere se fosse davvero il suo ultimo rigore”, avrebbe dichiarato qualche tempo dopo Andrea.
Come vive a Torino
Bresciano di nascita, milanese di adozione: sembrava che dalla Lombardia non se ne sarebbe più dovuto andare. Invece nel 2011 qualcosa con Allegri, che allenava il Milan, si rompe; Marotta fiuta l’affare e lo porta a parametro zero alla Juve. Ad aspettarlo, Conte. Come va? Giusto quattro scudetti consecutivi, una Coppa Italia (2015) e due Supercoppe (2012-2013). La Champions, che aveva già vinto a Milano, la sfiora. È un rammarico, sì, ma a Torino trova una nuova vita (164 partite, 19 gol, 38 assist), una seconda giovinezza e ci porta stabilmente la famiglia.
Perché Torino, ora, è per Pirlo sinonimo di casa. Il figlio più grande, Nicolò, frequenta le superiori in una scuola della collina torinese, vicina a casa. È la zona più bella della città, anche quella più riservata. Chi conosce bene la famiglia, sa che in realtà Andrea fuori dalle telecamere è molto attivo, divertente. Trascinante. Gli piace il golf, ci gioca proprio con il figlio (nella foto in basso, accanto al padre).
Ora la Juventus Under 23
Ah, già: un’altra maschera. Ma questa forse no. Perché il giorno del suo addio al calcio, dopo due anni giocati a New York, Pirlo ha organizzato una partita. “La notte del Maestro”. Ma come deve essere un maestro? Concentrato. Severo quando serve. A volte deve anche ridere, ma può non essere la sua caratteristica principale. Prima insegnava calcio in campo, ora deve farlo fuori: la Juventus Under 23 lo sta aspettando, prende il posto di un altro ex centrocampista, Pecchia, che ha vinto la Coppa Italia di Serie C.
“Nel calcio serve talento” ha dichiarato in più interviste. “Ma poi devi allenarlo, o non te ne fai nulla”. Una frase che già raccoglie la sua filosofia e che apre a tanta curiosità: come sarà la sua nuova vita? Quella di Pirlo alla Juventus è già una storia di metafore. Quella di un uomo tornato ragazzo e uscito maestro. Che non ride tanto, vero. Ma che, ora, riprende a sognare.