Il tempo a disposizione non è molto. La Feralpisalò ha appena finito l’allenamento, sono le 12:30 ed è l’ora di sedersi a tavola: “Il menù? Verdure, verdure e… ancora verdure”. Ce lo racconta un po' sconsolato Pasquale Maiorino, lui che ha la Puglia nel cuore, con le sue orecchiette, le cozze e la burrata: “Guarda, al massimo posso sperare in un piatto di pasta in bianco, in un po’ di bresaola e nel petto di pollo”. Dai, almeno c’è il sole a ricordargli casa: “Qui al nord non capita spesso. Ora però ci sono 20 gradi”.
Già, anche il cielo sorride alla Feralpisalò. Terzo posto in classifica, playoff praticamente in cassaforte. Il Pordenone capolista comunque lontano: “Noi dobbiamo pensare solo al match contro il Sudtirol. E anche nello spogliatoio non sono state fatte scommesse. Stiamo con i piedi per terra”. Anche se i compagni, probabilmente, lo guardano con una certa venerazione. Pasquale, infatti, è arrivato a gennaio. Sempre titolare in campo, sette vittorie in otto partite. Un modulo cucitogli addosso. Insomma, fondamentale. Con i suoi 169 centimetri di altezza e la qualità da trequartista: "Non a caso guardo il tennis e adoro Federer. Amo la bellezza".
Feralpisalò, un treno preso subito
“Mi trovo benissimo qui – continua – vinciamo ma non dobbiamo mollare. Mister Toscano mi ha dato fiducia fin da subito”. Quello di cui Pasquale aveva bisogno. Sognava una B da protagonista con il Livorno dopo la promozione della scorsa stagione. L’occasione che aspettava da una vita ma che si è presto trasformata in delusione. Solo 117’ giocati: “Motivo? Lo vorrei sapere anche io. Mi sono sempre allenato al massimo, ho dato tutto per quella maglia. Ma poi decidere se mandarti in campo o meno spetta ad altri, non a me”.
E allora arrivederci e grazie: “Pasquale, c’è la Feralpisalò. Che facciamo” Gli chiede il procuratore al telefono: “Accetta, subito”. La risposta: “C’erano tante altre squadre su di me – racconta Maiorino – tutte che mi volevano a parole. Mi dicevano aspetta aspetta, aspetta… ma io volevo cominciare subito”. Così la chiamata ai suoi amici e attuali compagni Pesce, Scarsella, Canini e l’inizio di una nuova avventura.
Paolo VI, storia di un quartiere difficile
Con lui anche la famiglia, che lo ha sempre seguito. I due figli, Cristian e la piccola Sophia. Poi la sua dolce metà, un amore dalle radici piuttosto lontane: “Ci siamo conosciuti da piccoli, poi alla fine l’ho sequestrata – sorride Pasquale – abitavamo a Taranto nello stesso quartiere”. Paolo VI, questo il nome. Una città nella città, all’ombra della più grande acciaieria d’Europa. L’Ilva è lì, maestosa. Con i suoi cinque altoforni a guardare tutto dall’alto.
Anche un campetto in cemento, con una porta dalla rete bucherellata. Lì si ritrovano i bambini per correre e scherzare. Attimi di spensieratezza in una realtà difficile: “Per evitate di perdersi, imboccando strade pericolose – racconta Pasquale con un filo di tristezza – qui il lavoro manca, molti preferiscono le scorciatoie. Tanti amici non ce l’hanno fatta, questo mi mortifica”. Lui sì, però. Tutto merito di papà, che lo contagia: “A casa mia sono tutti juventini. Zidane il mio idolo di sempre, ne ero innamorato. Poi subito dietro Del Piero e Totti”. La scuola vera l’ha abbandonata troppo presto: “E me ne pento ancora”. Quella della strada no, l’ha affrontata di petto: “Giocavo solo a calcio. Quando tornavo a casa, buttavo sul letto lo zaino e scendevo”.
Un po’ di torello e calcio tennis. La “Tedesca” e le gare a chi beccava più traverse con il piede debole: “Forse ai ragazzi di oggi manca un po’ di strada – spiega Pasquale – ti migliora a livello tecnico e non solo. E’ il miglior settore giovanile possibile”. E’ lì che ti immagini calciatore per le prime volte. Il sogno della tua vita, il modo più bello per sfuggire da una realtà complicata: “Anche se andare via di casa non è stato facile. La prima volta ai tempi di Vicenza. Dopo il primo giorno volevo tornare indietro”.
Serie A, un sogno ancora vivo
Aveva 20 anni Pasquale, a giugno spegnerà 30 candeline. Era un ragazzino, ora un uomo. Con un sogno ancora chiuso in un cassetto che per ora non si è aperto. Tante partite di C, alcune di B. Nessuna in A: “Ma ci credo ancora – ribadisce – il trucco è sempre il solito, non mollare. Prima o poi la ruota gira e nel calcio non si sa mai". L’esempio alla fine ce l’ha in casa, basta spostarsi ad Altamura.
Ciccio Caputo in A ci è arrivato tardi. Forse, sul serio, solo a 31 anni. Ora è l'unico attaccante del campionato ad aver giocato tutti i minuti a disposizione: “Lo stimo, anche se non ci ho mai parlato. Se ho assaggiato la sua birra pagnotta? Non è capitato, ma da tarantino per noi esiste solo la Raffo. Non la batte nessuno”. Chissà che i due, un giorno, non si ritrovino a brindare insieme. Con uno sguardo al passato. Alla gavetta o alle strade di un quartiere difficile. Pasquale nella vita ha già vinto, trasformando il suo sogno nella scorciatoia più bella. Il finale, però, è ancora tutto da scrivere.