Questo sito contribuisce all'audience di

“Noi, muratori e non architetti!”. Il presidente Andreoletti racconta il suo Albinoleffe: “I pomeriggi a pane e salame con il Mondo, la favola Belotti e lo spirito del popolo…”

“Abbiamo avuto l’onore e sottolineo l’onore di averlo avuto con noi per tanti anni. Abbiamo avuto il privilegio di farci contagiare dal suo entusiasmo, dal suo sorriso. Abbiamo avuto la fortuna di instaurare un rapporto di amicizia bellissimo che niente e nessuno potrà mai scalfire. Un legame più forte di tutto, più forte del tempo. Emiliano sarà sempre qui in mezzo a noi. Sempre. Ricordo ancora quando verso questo periodo – racconta Andreoletti ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com ci portava ad assaggiare il salame. Momenti unici, davvero. Ci mettevamo lì, parlavamo ore e ore e gustavamo questo salame, che doveva esser per forza buono…guai a criticarlo! Noi poi avevamo una sorta di appuntamento il sabato pomeriggio. Ci vedevamo al campo e lui aveva piacere di dialogare con me sulla formazione che avrebbe schierato il giorno dopo. Io ogni tanto magari gli dicevo la mia, ma tanto già sapevo che avrebbe fatto lo stesso di testa sua. Al termine della partita scendevo giù, in spogliatoio e in dialetto stretto…’Mister, la ghe andacia be’ (‘Mister, ti è andata bene). Lui sorrideva, ci abbracciavamo. Ed era di nuovo lunedì…”. Ah, i ricordi. Che girano e rigirano nella nostra testa. Che annullano distanze infinite. Che colmano vuoti incolmabili. Ah, i ricordi: loro sì che non ci abbandonano mai… “Ne ho un ultimo risalente ad uno spareggio playout che vincemmo contro il Piacenza. Era l’anno in cui gli avevano diagnosticato quella maledetta malattia. E il calcio lo aiutava a non pensare, a distaccarsi, a esser immerso in quella normalità che da un momento all’altro gli avevano portato via. Al termine della partita io ho ancora negli occhi il ricordo di quella sua corsa fuori dallo stadio. Finita la partita scappò subito via, di lì a poco sarebbe stato operato. E quella corsa è qui, che palpita sempre dentro di me”.

L’immagine di una grande famiglia, dove nessuno se ne va mai per sempre e dove quando sei dentro hai tutto ciò di cui hai bisogno per vivere bene: è questa la dimensione dell’Albinoleffe. Una palestra di vita, un prosimetro di sport ed educazione. Marchetti, Peluso, Diamanti, Biava…Belotti! La chiamavano ‘la piccola Arsenal’. Questa dimensione di calcio diversa, semplice ma vicina a ciò che più di ogni altra cosa possa servire ad un giovane: crescere… Pensate che Belotti nel nostro settore giovanile, all’inizio, non giocava mai, davanti a lui aveva quattro attaccanti. Poi uno, fatto il contratto si è perso per strada…Valoti e Beretta li avevamo dati al Milan e così è arrivato il suo turno. Che da grande ragazzo, di valore e valori quale è, ha saputo aspettare con grande determinazione e umiltà”.

Ed è proprio questa la quintessenza di una società…”di muratori e non di architetti. La nostra storia incarna il valore e lo spirito di un popolo abituato a rimboccarsi le maniche dalla mattina presto alla sera tardi e soprattutto a non mollare mai”. L’Albinoleffe quale immagine speculare di quelli che ci sono sempre stati, di quei ‘poc mei de nisu’ (‘pochi meglio di nessuno’ come amano definirsi). Perché, come nella vita, il vero gradiente dell’amore è l’esserci sempre: nel bene e nel male, nella gioia e nel dolore. Come nella deprecabile, brutta e vile parentesi del calcioscommesse dove il nome dell’Albinoleffe è stato macchiato e violato da quattordici calciatori che si compravano le partite procurandoci un danno sportivo che ci è costato la retrocessione e poi un danno d’immagine inenarrabili…siamo finiti sui giornali di tutto il mondo per questa vergognosa nefandezza. Mi è crollato il mondo addosso quel giorno, anni e anni di sacrifici economici polverizzati dalla viltà di certi gesti. Mi sono rialzato, però, da buon bergamasco d’altronde…”.

Anche se all’aureo estrinsecarsi della virtute bergamasca fa da eco una precisazione…”Con l’Atalanta non c’è alcun rapporto in quanto non c’è stima reciproca tra presidenti”. Una chiacchierata appassionata, conviviale, densa d’emozioni vere e la cui autenticità risuona quale vessillo sincero di una favola bella nel suo anacronismo… “Ma prima vorrei fare un’ultima osservazione… Questo sistema calcio va cambiato, così non è più sostenibile. Servono delle riforme. Ma delle riforme concrete. Non è creando le squadre B o riducendo il numero delle società che si risolvono i problemi del calcio di terza serie. Bisogna che questa Federazione, ad oggi commissariata, si renda conto dell’importanza che può avere la Serie C quale dimensione territoriale di prossimità”.

E’ in un messaggio di poche righe e in una favola lunga ormai vent’anni, un (soffio di) vento di speranza che qualcosa possa, un giorno, davvero cambiare. E non solo nel mondo del calcio…