Dopo aver raccontato i primi anni della sua lunga e vincente carriera (leggi QUI le sue parole), nella seconda parte dell'intervista rilasciata a Buffa Talks, José Mourinho si è soffermato sulle sue avventure all'Inter e alla Roma.
Mourinho: "Facciamo storia o filosofia? Facciamo la storia, abbiamo fatto la storia"
Lo Special One ha raccontato come ha vissuto la semifinale di ritorno di Champions League giocata al Camp Nou contro il Barcellona: "Stiamo vincendo 3-1, mancano 60 minuti per andare in finale di Champions. Gioco contro la squadra più forte del mondo, sto con un uomo di meno. Vogliamo fare i fenomeni o lottiamo fino alla fine e andiamo in finale? Cosa facciamo? Facciamo storia o filosofia? Facciamo la storia, abbiamo fatto la storia. [...] La gente era ai limiti della sofferenza e ricordo gente come Cordoba urlare che quella era l'ultima opportunità della loro carriera e tifavano chi stava in campo per incitarli a portarli in finale. Queste sono le vere medaglie per me".
Mourinho ha poi elogiato tutti i giocatori di quell'Inter, anche e soprattutto chi ha giocato meno: "Era una squadra di altissimo livello. Questi ragazzi erano straordinari, un gruppo di altissimo livello. Quando vinci un triplete è una cosa storica, fantastica, possibile solo grazie a questo senso di gruppo. Io dico sempre che non ho mai visto una panchina così dal punto di vista umano. Un gigante, gigante nel senso della sua carriera, come Toldo, stava in panchina. Ivan Cordoba stava in panchina, il campione del mondo Materazzi stava in panchina. Dejan Stankovic tante volte stava in panchina. Questa gente, bisogna essere veramente gente di squadra per avere questa empatia collettiva".
L'allenatore portoghese ha poi spiegato il suo addio ai nerazzurri: "Sono sempre molto onesto con gli altri e con me stesso. Potevo andare al Real Madrid dopo la prima stagione all’Inter, però avevo firmato per restare più di un anno. Avevo un rapporto incredibile non solo con il Presidente ma anche con la moglie e i suoi figli. Sono andato a casa di Moratti al termine della prima stagione e siamo arrivati alla conclusione che sarei rimasto un anno in più. Non era la vittoria o la sconfitta nella finale di Champions League che avrebbe deciso la mia vita, già lo sapevo cosa avrei fatto e volevo andare al Real Madrid".
Poi, ha proseguito: "L’opportunità è arrivata per la seconda volta e ho voluto andare via, era un momento della mia carriera dove mi sono detto che avrei dovuto farlo per forza. È il club più grande al mondo, non c’è storia ma avevo quella cosa di prendermi lo scudetto della Serie A. Al di là di vincere o non vincere la Champions League, c’era un lavoro di base che sarebbe andato a un altro allenatore, tutto era perfetto. Sarebbe stato più comodo per me restare all’Inter anziché andare in competizione con il Barcellona, avrei vinto un altro scudetto facile, saremmo andati a prendere la medaglia di campioni del Mondo per club ma per me non avrebbe avuto significato. I giocatori intelligentissimi sapevano già cosa avrei deciso, dopo la finale di Champions League non sono tornato a Milano perché avevo paura che le emozioni avrebbero potuto cambiare e non sarei più andato al Real Madrid. Ho rifiutato di firmare il contratto con il Real Madrid prima della finale contro il Bayern Monaco, però ho avuto paura di tornare a Milano per le emozioni".
Mourinho: "Mi piace il romanismo, quando guardo la curva mi emoziono ancora"
Undici anni dopo l'addio all'Inter, Mourinho è tornato in Italia, questa volta sulla panchina della Roma: "Quando sono arrivato qui, non conoscevo la Roma. Ci ho giocato contro con l'Inter, mentre con il Porto ho giocato non contro la squadra più importante della città. Non conoscevo la Roma né come città di cuore calcistico, né la società AS Roma. Avevo allenato tre grandi squadre in Inghilterra, Manchester, Chelsea e Tottenham e volevo quindi andare fuori dall'Inghilterra. La Roma è arrivata con un discorso che mi è piaciuto, ed è stata la proprietà che mi ha fatto venire. Dopo, quando sono arrivato e ho imparato a conoscere il romanismo, ho imparato a conoscere tutti i loro dubbi, ho imparato a conoscere tutte le loro frustrazioni e ho cercato di entrarci dentro. Mi sono fatto tante domande, cui ho bisogno di rispondere con il tempo".
Mourinho ha spiegato di essere molto legato ai tifosi della Roma: "Mi sono affezionato tanto al romanista. Mi piace il romanismo. Mi piace il romanista puro, mi piace il romanista della strada, che va la mattina a Trigoria solo per avere una foto. Mi piace la gente che segue la squadra ovunque. Quando arrivi in due finali europee e prendi la città con te, quando tu piangi di gioia con loro, tu diventi ancora più uno di loro. È ciò che sento adesso, è stato naturale. Quando sono in panchina e guardo alla destra (verso la Curva Sud, ndr) all'Olimpico mi emoziono ancora. Quando guardo dietro di me non mi piace tanto, ma quando guardo alla mia destra mi fa venire i brividi, è gente che rimane con me, anche quando un giorno andrò via".
Sul futuro, però, Mourinho non si è sbilanciato: "Non lo so. Prima di Budapest ho promesso ai calciatori che sarei rimasto. Dopo lo Spezia, all'Olimpico, con i gesti ho detto ai tifosi che sarei rimasto qua e adesso sono qua".
Mourinho: "Non mi piace l'ingiustizia"
Infine, l'allenatore portoghese ha parlato del suo rapporto con gli arbitri: "Non è una strategia. Strategia di cosa? Non capisco queste cose. Non c'è strategia, c'è un gruppo di gente che lavora tanto e parlo di me, del mio staff, dei giocatori, del club, del popolo e c'è la difesa del popolo. Io sono una persona che quando sente un'ingiustizia ha difficoltà a conviverci. Non mi piace l'ingiustizia, anche quella sociale, ovunque. Non c'è alcuna strategia. Nel calcio, l'unico che può sbagliare e ha un aiuto per rimediare al suo errore è l'arbitro. L'allenatore, quando sbaglia, non può fermarsi e rifare da capo. Nemmeno il calciatore può tornare indietro, se sbaglia a due metri dalla porta. L'arbitro può farlo con gli assistenti, il quarto uomo, il VAR. Gli arbitri, quindi, devono sbagliare di meno. Quando vedo ingiustizie contro il mio popolo vado in difficoltà, è il mio modo di vivere".