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Data: 28/11/2022 -

“In Italia non ha mai avuto una vera occasione. Gol al Mondiale punto di arrivo di un percorso” 

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Vincenzo Cavaliere, procuratore di Livaja, racconta l’attaccante croato tra aneddoti e retroscena 
Vincenzo Cavaliere, procuratore di Livaja, racconta l’attaccante croato tra aneddoti e retroscena 

Appena risponde al telefono Cavaliere ci regala una fotografia che descrive alla perfezione il personaggio. “Ero a Spalato, c’era il torneo dei 4 Caffè. Fu la prima volta che vidi Livaja. Era un bambino, avrà avuto si e no 16 anni”. Eppure già faceva girare la testa ai difensori, un metro ottanta di estro e fantasia. Rimasi a bocca aperta. Se la giocava alla pari con Dzeko, Rakitic e Perisic, che erano tornati qui per la pausa di Natale. Credimi aveva classe e personalità da veterano. Da lì a poco iniziai a rappresentarlo. Scelta azzeccata. Marko era una pepita d’oro da valorizzare e che forse negli anni troppo spesso non è stato capito. Oggi vederlo esultare ai Mondiali da centravanti della Croazia ci porta a fare delle riflessioni e a porci delle domande. E se ci fossimo tutti sbagliati? 

 

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Livaja è sempre stato uno che ti faceva prendere una posizione, uno che o lo ami o lo odi. Divisore di folle per definizione. Bravate, lampi di classe, cadute, risalite e chi più ne ha più ne metta. Negli anni però, soprattutto in Italia, tante volte non gli è stata data l’occasione di esprimersi al meglio. Nel 2010 lo volevano tutti, credimi mi chiesero informazioni tutte le big di Serie A, Liga e Premier. Juve, Milan, Barcellona… ma lui scelse l’Inter, che arrivava dalla vittoria del Triplete. Eppure non gli è mai stata data la possibilità concreta di esprimersi con continuità”


Ma inquadriamo il contesto per prima cosa. Marko arriva a Milano per volere di Ausilio, che lo scova dall’Hadjuk Spalato, lo corteggia e lo coccola. In primavera segna e fa divertire, vince il campionato e la Next Gen Series con Stramaccioni allenatore, che l’anno dopo lo butta dentro anche in Serie A e in Europa League. Poi qualcosa si rompe. “Branca ci convoca nel suo studio e ci da un da un aut aut. ‘O vai all’Atalanta o torni in Primavera’. Una specie di ricatto.  Moratti lo avrebbe tenuto volentieri, era contrario alla cessione. Su Marko c’era anche l’Eintracht, ma Branca spingeva per l’Atalanta per avere in cambio Schelotto. E così fu, non avevamo altra scelta. A Bergamo poi le cose non sono andate come speravamo, eppure sia Denis che il presidente Percassi chiedevano all’allenatore di farlo giocare di più. Mi ricordo quando German disse ‘questo è fortissimo, ma perché non gioca?’. Sipario. Cambiare aria è stata quindi una decisione inevitabile

Tra il Livaja di allora e quello di oggi qualche differenza c’è. Intanto, la carta d’identità. Marko ha 29 anni, è nel pieno della sua maturità calcistica, ha massima fiducia e consapevolezza nei suoi mezzi. Segna e si diverte a casa sua, proprio nell’Hajduk dove tutto era iniziato.In Croazia è sempre stato molto considerato. Prima di tornare a casa ha vinto il campionato con l’Aek Atene, che lì mancava da 24 anni”. Peccato, viene da dire. 
E chissà che oggi qualcuno, vedendolo segnare con la Croazia al Mondiale, non si stia mangiando le mani con il rimpianto di non averlo aspettato. A volte basta solo un po’ di tempo e fiducia.



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